Scienze naturali

Una sala del Museo di Storia Naturale nell'antica collocazione nell'ex monastero delle  Martiri Una sala del Museo di Storia Naturale nell'antica collocazione nell'ex monastero delle Martiri

Il secolo XIX non si apriva, per le sorti delle scienze a Ferrara, nel modo più incoraggiante. Con l’avvento di Napoleone, l’Università ferrarese veniva infatti soppressa (nel 1804) e al suo posto veniva istituito un Liceo, declassando la città nel rango che occupava al tempo dello Stato pontificio nel campo dell’istruzione e formazione del più alto livello. È vero che, caduto Napoleone, l’Università fu subito ricostituita, tanto da aprire i nuovi corsi già il 1° febbraio 1816; ma va considerato che in pieno clima di restaurazione il nuovo governo pontificio non era certamente motivato da intenti favorevoli nei confronti delle scienze sperimentali, e non deve pertanto meravigliare il fatto che lo Studio ferrarese dovette attendere tempi migliori per veder “germogliare”, se non proprio fiorire, una qualche attitudine per le scienze naturali.

Ma quanto realmente si fosse perso con il nuovo secolo rispetto alle tradizioni scientifiche del vecchio regime, cioè relativamente poco, può forse in parte spiegare il declassamento napoleonico. Se si prescinde dalla scienza medica e dall’ingegneria idraulica – che non riguardano l’argomento di questo contributo – Ferrara non era lontanamente paragonabile, nella temperie culturale del tardo ’700, a città sedi di ateneo come Pavia, Padova o Bologna. Prima dell’adozione delle Costituzioni del 1777 l’insegnamento universitario era improntato da un conservatorismo chiuso a tutto ciò che era “scienza sperimentale” e oltretutto soggetto agli interessi potremmo dire “di casta” delle magistrature locali. Era nullo qualsiasi scambio con le comunità scientifiche più vivaci del paese, e i pochi insegnamenti di scienze empiriche erano di carattere applicativo e tenuti da ecclesiastici. È solo con le nuove Costituzioni volute nel 1771 dal cardinale Riminaldi che l’Università si apre ad una concezione più consona alla scienza moderna: e significative sono, in questo senso, l’istituzione della “Camera di cose naturali” (cioè di un primo nucleo di quello che diventerà il Museo di Storia Naturale) e la trasformazione della Cattedra e dell’Orto dei Semplici rispettivamente in Cattedra di Botanica e in Orto Botanico (fatto non meramente nominale, ma significativo come mutamento di approccio alla materia). Ma è certamente ancora poco per parlare di un panorama vivace delle scienze naturali a Ferrara in quel periodo.

In secondo luogo bisogna considerare che il declassamento avvenuto in epoca napoleonica non significò, come si può immaginare, una disattenzione o tanto meno un’avversione nei confronti della scienza sperimentale. Al contrario, almeno per l’Orto Botanico quello napoleonico fu un periodo molto proficuo, che coincise con la nomina a prefetto dell’Orto di Antonio Campana (Ferrara, 1751-1832), avvenuta nel 1803. La sua Farmacopea ferrarese del 1809, ancorché redatta con l’approccio tradizionale di manuale d’uso per medici e farmacisti, è di fatto il primo contributo degno di nota nel campo delle scienze naturali che abbia visto la luce a Ferrara nell’Ottocento. Ma più significativi ancora sono le cure che Campana dedicò all’Orto, di cui è testimone il Catalogo da lui redatto nel 1824, che elenca ben 5.500 specie, e l’attività di erborizzazione che svolse soprattutto sul territorio, di cui resta tuttora, presso l’Orto Botanico, un voluminoso erbario di exsiccata, importante base di conoscenze della flora locale.

Ma fu solo all’indomani dell’Unità che si verificarono i presupposti per cui le scienze naturali poterono avere, anche a Ferrara, qualche reale prospettiva di sviluppo. Un momento fondamentale fu rappresentato, nel 1862, dalla decisione delle autorità di istituire un corso universitario di Storia Naturale, con la relativa cattedra, che fu affidata a Galdino Gardini (Bologna, 1822 - Ferrara, 1907), cioè a colui che era già, a quel tempo, professore di Storia Naturale presso il Regio Liceo ferrarese. Il dare – molto tardivamente, peraltro – dignità autonoma anche in ambito universitario ad un insieme di discipline che in precedenza erano viste solo come funzionali ad altri saperi e sempre in chiave applicativa, era già un cambio di mentalità importante, di portata anche maggiore di quello con cui novant’anni prima si era voluto trasformare la scienza applicativa dei semplici in scienza botanica. Si era deciso, inoltre, che la nuova cattedra istituita a Ferrara dovesse avvalersi di un Gabinetto di Storia Naturale, e che pertanto era necessario scorporare le poche collezioni mineralogiche e zoologiche da quelle, in prevalenza archeologiche e numismatiche, del Museo Civico, in cui erano confluite con la vecchia “Camera di cose naturali” voluta dal Riminaldi.

Un vero Museo di Storia Naturale, in realtà, era ancora tutto da realizzare. E fu in quest’opera di grande impegno e fatica che ebbero modo di rivelarsi le capacità di Galdino Gardini. Nel corso della sua carriera scientifica Gardini pubblicò una trentina di lavori su argomenti disparati, dimostrandosi interessato alle scienze in generale e alla loro divulgazione, pur rivelando al tempo stesso di non essere versato per l’indagine metodica, sorretta da strenua applicazione, dello specialista. Il suo campo di elezione erano comunque le scienze geologiche e mineralogiche, sulle quali presentò una comunicazione al X Congresso degli Scienziati Italiani tenutosi a Siena nel 1862. Furono, tali congressi, una importante e precoce attestazione di vitalità del pensiero positivista in Italia, ed è significativo che Gardini vi partecipasse attivamente. Ancora in età matura, in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 1887-1888 dell’Ateneo ferrarese, egli tenne una conferenza su I nostri progenitori con la quale sottolineò la sua adesione alla teoria darwiniana e la sua fiducia nel ruolo della scienza come fattore del progresso umano.

Gardini non aveva in realtà la tempra del ricercatore quanto quella di imprenditore, seppure in un ambito culturale e scientifico. Fu grazie a quelle doti “manageriali” e di iniziativa, come abbiamo detto, che nel giro di soli dieci anni Ferrara poté inaugurare, il 26 maggio del 1872, nella sede dell’ex convento delle Martiri di via Roversella, il proprio Museo di Storia Naturale. Di quegli anni abbiamo testimonianza di intensi contatti tra Ferrara, nella persona del Gardini, e i maggiori studiosi – perlomeno italiani – nelle varie discipline delle scienze naturali: come Luigi Bombicci, per la mineralogia, e Luigi Pigorini per la preistoria. La vera originalità dell’operato del Gardini, quella sua “managerialità” ante litteram con cui diede un formidabile impulso alla curiosità per le scienze naturali nei cittadini, fu però «l’impegno sostenuto nell’organizzare e dirigere il collezionismo privato secondo precisi criteri scientifici. Si passò, cioè, da una fase in cui le raccolte si formavano sulla base degli interessi e delle competenze dei singoli, ad un collezionismo mediato dalle esigenze e dai criteri del Museo» (Filippini, Masini). Con raro intuito organizzativo, Gardini pensò soprattutto ai ferraresi residenti in altri continenti, o che per ragioni di lavoro (o di personali disponibilità) avevano modo di viaggiare in terre anche molto lontane. Per questi potenziali donatori d’eccezione Gardini preparò anzi una lettera circolare in cui invitava il destinatario a voler «mettere a disposizione del Museo […] qualcheduno di quegli oggetti minerali, vegetali, animali, fossili, etnografici ecc. che per avventura […] Le venisse fatto d’ora in poi di raccogliere», e la corredò pure di specifiche Istruzioni generali per le raccolte di storia naturale (1868), che sono oggi un documento di grande interesse documentario.

È il caso di notare che fu in virtù di quelle doti e di quell’impegno che il Museo di Storia Naturale della nostra città conserva tuttora un ricco patrimonio di materiali zoologici, mineralogici e paleontologici provenienti da tutti i continenti, ciò che è relativamente normale per musei di grandi città ma piuttosto eccezionale per quelli di ambito più locale. Ma chi ne furono i principali donatori? Se nel caso, per esempio, dei musei di Genova o di Milano i nomi dei principali donatori corrispondono spesso ad importanti personalità del mondo scientifico e della ricerca (che allora si faceva molto sul campo e in terre lontane), non si può dire altrettanto per quelli del Museo di Ferrara. Ma seppur di più modesta e locale levatura, quei nomi “chiedono” per così dire di essere riscoperti: furono loro, in definitiva, le figure di maggiore spicco nel panorama oggettivamente piuttosto depresso delle scienze naturali ferraresi di quel periodo.

Angelo Conti (Ferrara, 1812-1876) fu il solo, tra quei donatori, a non aver mai lasciato il suolo italiano, e nonostante si sia distinto soprattutto in campo artistico come scultore (fu allievo di Thorvaldsen a Roma) fu anche l’unico, per la verità, ad essere in possesso di specifiche competenze in campo naturalistico. Durante la sua lunga permanenza a Roma, Conti si dedicò con applicazione e competenza allo studio dei fossili pleistocenici di Monte Mario; su di essi pubblicò nel 1864 la memoria Il Monte Mario ed i suoi fossili subappenninici, in cui descrisse diverse specie nuove per la scienza. Un nome di rilievo, seppure in ambito medico e quindi solo marginalmente attinente l’argomento, fu quello di Elia Rossi (Ferrara, 1816 - Il Cairo, 1891). Di famiglia israelita, non appena laureatosi in Medicina si recò in Egitto per contribuire alla lotta contro un’epidemia di peste, nella quale acquisì grandi meriti fino a diventare il medico personale del pascià. Oltre a pubblicare una Storia della peste e le Note sul cholera morbus, ci interessa per essere stato l’autore del volume La Nubia e il Sudan (1858), nel quale si propose di illustrare «la geografia, geologia, idrografia, atmosferologia e morfologia» di quei paesi. Cugino di Elia Rossi, Angelo Castelbolognesi (Ferrara, 1836 - Il Cairo, 1874) non ebbe una formazione scientifica e fu infatti agente di commercio, ma va ricordato in quanto unico vero esploratore tra i donatori del Museo e per l’interesse che nutrì per la storia naturale e le popolazioni dell’Alto Nilo, di cui è un vivido resoconto il suo Viaggio al Fiume delle Gazzelle, pubblicato originariamente in francese nel 1862. Ben più noto di Castelbolognesi è però un altro esploratore ferrarese – che non fu tra i donatori del nostro Museo – e cioè Gustavo Bianchi (Ferrara, 1845 - Dancalia, 1884). Le sue esplorazioni nel Corno d’Africa si intrecciano drammaticamente con quelle di altri esploratori italiani ed ebbero un tragico epilogo nell’ottobre 1884 in Dancalia, dove fu trucidato insieme al centese Gherardo Monari e al piemontese Cesare Diana. Nello stesso anno della sua morte fu pubblicato il suo volume Alla terra dei Galla, sul viaggio da lui compiuto nel biennio 1879-80. Postumo, nel 1887, uscì il suo volume di memorie Esplorazioni in Africa.

Anche Bianchi, peraltro, non fu propriamente un naturalista né uno scienziato, come è un fatto che, al pari di molti nomi già ricordati, fu ferrarese solo di nascita. A maggior ragione è doveroso ricordare allora un altro ferrarese che si distinse lavorando sempre lontano dalla città natale, il quale invece fu un importante naturalista – seppure ingegnere come formazione –, e cioè il botanico Giovanni Briosi (Ferrara, 1846 - Pavia, 1919). Già distintosi in campo agronomico e affermatosi come direttore di diverse Stazioni di Chimica Agraria (Palermo, Roma), la sua più importante attività scientifica in campo botanico si svolse a cavallo dei due secoli a Pavia, dove fu dal 1883 fino alla morte e dove diede vita alla gloriosa “scuola botanica” di quella città.

FP, 2011

Bibliografia 

Roberta Filippini, Gloria Masini, Origini e storia ottocentesca del Museo di Storia Naturale di Ferrara, «Pubblicazioni del Civico Museo di Storia Naturale di Ferrara», 9, 1991, pp. 1-57; Fabrizio Negrini, Renato Gerdol, Orto Botanico, in Verso un museo delle scienze, a cura di Carmela Loriga, Ferrara, «Annali dell’Università di Ferrara», volume speciale, 2001, pp. 9-14; Luigi Pepe, Storia dell’Università di Ferrara, ivi, pp. 1-8.

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