Clero

Vincenzo Maria Ferrarini, Il Papa-Re, Torino, Tipografia Derossi e Dusso, 1862 Vincenzo Maria Ferrarini, Il Papa-Re, Torino, Tipografia Derossi e Dusso, 1862

A Ferrara il processo di modernizzazione economica, sociale e culturale che prese avvio negli anni della dominazione napoleonica dovette «fare i conti […] con la pertinace resistenza di un clero ostinatamente chiuso dentro le sue forme rituali di guida spirituale e materiale delle popolazioni e ostile a subire controlli da parte dell’autorità civile» (Varni). Tra le rare eccezioni si possono ricordare il sacerdote Giuseppe Compagnoni, il quale ricoprì la carica di segretario generale della Repubblica Cispadana, e monsignor Agostino Peruzzi, che in gioventù si era arruolato nell’esercito della Repubblica Cisalpina e fu successivamente un sostenitore del progetto neoguelfo e delle idee giobertiane. Acerrimo avversario di Gioberti fu invece il minore conventuale Giovanni Maria Caroli (1821-1899), che pubblicò, tra il 1848 e il 1850, una serie di opere polemiche in cui stigmatizzava «il panteismo e il razionalismo giacenti in fondo alle teorie giobertiane», l’identificazione della «civiltà moderna dei parlamenti, dei congressi, dei giornali, dei ministeri democratici e dei giureconsulti colla carità evangelica sovrannaturale» e l’aspirazione a «svolgere e rinnovare» le dottrine e l’organizzazione ecclesiastica.

Dopo l’Unità, stando alla testimonianza di Giuseppe La Farina, «i preti sono potenti quanto prima e si oppongono sfacciatamente al nuovo ordine di cose». Uno degli episodi più significativi di tali sentimenti si verificò nel maggio 1860, allorché alcuni religiosi di San Camillo de’ Lellis riuscirono a sobillare la Brigata Ferrara, composta da volontari romagnoli, veneti e lombardi diretti in Sicilia. Il 2 giugno 1861 in nessuna località della diocesi i preti intervennero alla celebrazione della Festa dello Statuto e in quello stesso anno il clero ferrarese disertò compatto le urne, invitando i fedeli all’astensione. Nei quattro collegi di Ferrara, su 3.725 elettori, i votanti furono soltanto 1.303, pari al 34.9%. Nelle consultazioni del 1865 si ebbe un incremento dei votanti, pur rimanendo la percentuale assai inferiore a quella nazionale (46,8% contro 54%). Nelle elezioni del novembre 1870 l’affluenza non superò il 33,8%, registrando un ulteriore notevole decremento, riconducibile, con ogni probabilità, alle ripercussioni della breccia di Porta Pia.

A fronte della «sostanziale e intransigente compattezza del clero ferrarese» (Samaritani), non mancarono i sacerdoti di sentimenti liberali che plaudettero all’unificazione politica della penisola, auspicando una conciliazione tra Stato e Chiesa. Tra questi don Vincenzo Maria Ferrarini, parroco di San Nicolò d’Argenta, autore nel 1862 di un opuscolo intitolato Il Papa-Re, in cui sosteneva che il pontefice avrebbe dovuto deporre la «temporale dominazione» e «non contrastare i progressi della società». È probabile che anche il parroco di Serravalle, don Angelo Melandri, consentisse con le istituzioni liberali, se è vero che nel 1862 condusse tutti i suoi parrocchiani a votare. Analoghi sentimenti nutrivano don Eugenio Rinaldi, don Cleto Gasperini, don Felice Magnani, don Luigi Zerbinati e don Bartolomeo Ballerini, i quali, a dispetto delle prescrizioni della Santa Sede, presero parte nel 1861 alla Festa dello Statuto. L’anno successivo don Eugenio Rinaldi avrebbe sottoscritto la petizione promossa da padre Carlo Passaglia affinché il papa rinunciasse al potere temporale. Don Rinaldi, don Gasperini, don Magnani, don Zerbinati e don Ballerini erano tutti insegnanti del liceo-ginnasio cittadino e tutti, ciò che è assai significativo, non ferraresi d’origine.

Dopo il 1859 la cultura cattolica ferrarese, bandita dall’Università e dalle istituzioni pubbliche, ha il suo fulcro nel Seminario diocesano. Nei decenni precedenti l’istituzione aveva registrato un progressivo calo delle presenze e conseguenti difficoltà economiche: se nell’anno scolastico 1815-16, quando ancora la Transpadana faceva parte della provincia ferrarese, il seminario contava 136 alunni, nell’anno scolastico 1827-28 vi si ritrovano 46 seminaristi. Ai problemi economici si somma il calo delle vocazioni. Nell’anno scolastico 1843-44 gli alunni che si dedicano allo studio delle scienze sacre sono sette. In quello stesso anno alla Pontificia Università, su un totale di 106 studenti, solo sei sono iscritti alla facoltà teologica. A risollevarne le sorti non contribuirà certo la notificazione emanata nel 1852 dal cardinal Vannicelli Casoni, la quale stabiliva che l’Università non dovesse accettare se non alunni «muniti della fede del battesimo […] come pure di attestato politico il quale rimovesse perfino il lontano sospetto di aver partecipato ad atti sediziosi».

Il rinnovamento morale e spirituale del clero, considerato il presupposto imprescindibile di una riconquista delle masse popolari alla Chiesa che implicava anzitutto una ristrutturazione dell’educazione cristiana e in cui i sacerdoti con cura d’anime avrebbero rivestito un ruolo di primo piano fu, negli anni della restaurazione, una costante preoccupazione dei presuli ferraresi. Il 7 agosto 1828 il cardinal Odescalchi scriveva da Roma al vescovo Filonardi per informarlo che il papa era giunto a conoscenza che «alcuni dei regolari non solo di notte tempo escono dai loro sacri recinti; ma di più, ora travestiti di altro abito ora con la veste stessa del proprio Istituto, fanno lecito intervenire ed assistere non senza scandalo agli spettacoli anche notturni nei pubblici teatri dello Stato». Se Cadolini dettò nel 1844 una sorta di regolamento che stabiliva doveri, obblighi e divieti del clero, Vannicelli Casoni curò la formazione dei parroci (sollecitandone la partecipazione alle «Conferenze del Caso Morale» e la pratica degli esercizi spirituali), mise mano a una ristrutturazione del locale seminario e dell’ordinamento degli studi e nel 1872 istituì presso il Seminario stesso un collegio teologico, che andò a rimpiazzare l’analoga facoltà universitaria, soppressa nel 1859.

Negli anni Settanta, quando si tratterà di contrapporsi a un’istruzione laica che aveva estromesso l’insegnamento della religione dalle scuole, protagonista della riorganizzazione dell’insegnamento della dottrina cristiana a Ferrara sarà monsignor Andrea Ferrari, fondatore e direttore del «Catechismo di Perseveranza» e autore di un Compendio della Dottrina Cristiana (1871) e di un Trattato della religione (1884). Quest’ultima opera riflette il processo di rinnovamento catechetico che il revival della teologia scolastica aveva innescato in molti paesi d’Europa. Alla ripresa della filosofia tomistica, che intendeva contrapporsi al razionalismo dilagante in seno alla stesso mondo cattolico e alle tendenze moderniste e che nel 1879 sarebbe stata sancita da Leone XIII con l’enciclica Aeterni Patris, presero parte gli esponenti più autorevoli e culturalmente preparati del clero ferrarese. Tra il 1874 e il 1875 il cardinal Vannicelli ospitò a Ferrara il padre gesuita Giovanni Maria Cornoldi, uno dei principali esponenti del neotomismo italiano, il quale fondò a Ferrara l’Accademia filosofico-medica di San Tommaso. Tra le personalità di maggior rilievo del clero ferrarese che parteciparono della temperie neotomistica occorre ricordare monsignor Antonio Maria Franchini, canonico della metropolitana di Ferrara, monsignor Giuseppe Taddei, ultimo rettore della Pontificia Università di Ferrara, monsignor Gaetano Cavallini, archivista della Curia e direttore del «Popolo», e don Pietro Merighi, arciprete del Capitolo Metropolitano. Essi furono al contempo i campioni dell’intransigentismo cattolico a Ferrara e i principali fautori delle forme devozionali tipiche della pietà ultramontana. Merighi, in particolare, fu autore di opere letterarie in poesia e prosa, in cui affronta alcuni tra i più gravi problemi del suo tempo, dal pauperismo al protestantesimo alla rivoluzione liberale, e che costituiscono ai nostri occhi preziose testimonianze della cultura e dell’atteggiamento politico e religioso del clero ferrarese nella seconda metà dell’Ottocento. Quest’ultimo appare caratterizzato «dall’incapacità di accompagnare allo spirito combattivo e alacre, alla coerenza con i propri ideali, una cultura in grado di cogliere e di avvertire le ineluttabili evoluzioni del pensiero politico moderno» (Baruffaldi).

Quanto all’azione sociale del clero e del laicato cattolico, essa rimase a lungo confinata a iniziative di carattere caritativo-religioso, coordinate dalla locale conferenza della Società San Vincenzo de’ Paoli. Le prese di posizione dei congressi cattolici di Lucca (1887) e di Vicenza (1887) e la pubblicazione della Rerum Novarum (1891) accostarono i cattolici ferraresi (clero e laicato) a una nuova impostazione del problema sociale ed economico, che contrassegnerà, negli anni Novanta, l’attività dell’Opera dei Congressi. All’inizio del Novecento la tendenza da parte dei dirigenti laici dell’Opera dei Congressi facenti capo a Giovanni Grosoli ad ingerirsi in ambito ecclesiastico e il seguito riscosso dai democratico-cristiani di Murri indussero il nuovo arcivescovo Giulio Boschi (1900-1919) a richiamare all’ordine il clero diocesano, convocando un’assemblea plenaria (5 settembre 1904) che vide l’imporsi della corrente intransigente. Il sinodo diocesano celebrato nell’ottobre 1908 si tradusse in un’ulteriore affermazione della sottomissione del clero all’autorità dell’arcivescovo: le costituzioni promulgate da Boschi in quell’occasione riflettevano la piena adesione della Chiesa di Ferrara al programma di restaurazione gerarchica e autoritaria intrapreso da Pio X, nonché alla crociata antimodernista di cui il movimento democratico-cristiano costituiva uno dei principali bersagli. A fronte di tali sviluppi, mentre si radicavano in provincia l’Unione Popolare e l’Unione Elettorale – frutto della riorganizzazione del movimento cattolico promossa dal pontefice dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi (30 aprile 1902) – il coinvolgimento del clero e del laicato nella vita politica si sarebbe fatto via via più ampio e più conciliante l’atteggiamento dell’arcivescovo e dalla Curia in rapporto alla partecipazione dei cattolici alle consultazioni elettorali.

CB, 2011

Bibliografia

Amerigo Baruffaldi, La Chiesa di Ferrara nell’età del Liberalismo e del Totalitarismo, in La Chiesa di Ferrara nella storia della città e del suo territorio, a cura di Luciano Chiappini, Werther Angelini, Amerigo Baruffaldi, Ferrara, Corbo, 1997, vol. II, pp. 268-443; Giuseppe Cenacchi, Tomismo e neotomismo a Ferrara, Città del Vaticano, Libreria ed. vaticana, 1975; Lorenzo Paliotto, Il seminario di Ferrara. Notizie e documenti, «Analecta Pomposiana», vol. XXIII, Ferrara, 1998; Angelo Varni, Da Napoleone all’Unità, in Storia illustrata di Ferrara, vol. 3, Milano, Nuova Editoriale AIEP, 1989, pp. 737-752; voci Caroli Gian Francesco Nazareno e Cornoldi Giovanni Maria in Dizionario biografico degli italiani.

 

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