Famiglia

La prima pagina di un foglio di famiglia dopo la riforma dell'anagrafe del 1901 La prima pagina di un foglio di famiglia dopo la riforma dell'anagrafe del 1901 Servizi demografici del Comune di Copparo

La storia della famiglia è un campo recente degli studi storici, sorto negli anni Settanta dalle pratiche di studio interdisciplinare e dall’affermazione della storia sociale. Anche se trent’anni or sono il Ferrarese è stato uno dei laboratori dell’importante lavoro di sociologia storica di Marzio Barbagli, rarissime sono a tutt’oggi le ricerche, per cui si può solo abbozzare un quadro generale.

La storia della famiglia si è concentrata inizialmente sull’esame della struttura familiare, secondo un modello elaborato da Peter Laslett e dal Cambridge Group for the History of Population. L’unità di analisi è l’household, cioè l’aggregato domestico che condivide l’abitazione: a parte i solitari e le coabitazioni senza parentela, al centro della famiglia sta una coppia coniugale (o un vedovo/a). Se con la coppia vivono solo i figli, la famiglia è “nucleare”, se invece vi si trovano anche altre figure è “complessa”, “estesa” se sono singoli parenti, “multipla” se altre coppie si affiancano a quella principale. Sotto lo stesso tetto, però, non solo vivono più generazioni e linee familiari, ma si trovano anche estranei, come bambini a balia, esposti (Ferrara è tuttavia la prima città italiana ad abolire la “ruota”), garzoni, servi, dozzinanti (cioè inquilini in affitto). Nel determinare la forma della famiglia sono fondamentali i rapporti di produzione e la storia del territorio, cioè i patti agrari, colonici o salariati, e le modalità dell’insediamento, in un centro urbano o sparse nelle campagne. Nel Ferrarese ottocentesco la popolazione rurale era preponderante e rispondeva alla coesistenza di forme familiari caratteristica dell’Italia settentrionale. Come in altre zone caratterizzate da contratti colonici su terre appoderate, si registrava una forte presenza di famiglie multiple: per la maggiore estensione del “versuro” le famiglie dei boari erano più grandi di quelle mezzadrili (dieci-dodici persone in media) e comprendevano due o più nuclei (padre-figli, ma anche fratelli o cugini). Ancora alla fine del lungo Ottocento, nel 1911, nel Comune di Ferrara l’84% delle famiglie boarili aveva struttura complessa. D’altro canto, come in altre zone segnate da processi di proletarizzazione, le famiglie bracciantili erano spesso nucleari (il 60% nel caso del campione sopracitato), talvolta estese (per l’inclusione di genitori degli sposi o altri parenti). Comunque, dato il peso numerico delle famiglie boarili sull’insieme della popolazione, era assai probabile che nell’Ottocento un ferrarese vivesse almeno parte della propria vita in famiglie complesse. All’altro estremo della scala sociale, le famiglie di possidenti, nobili o borghesi, erano meno caratterizzate: in generale, a partire dall’età rivoluzionaria e napoleonica, il mutamento delle norme successorie e la divisione dei patrimoni comportò una tendenza alla “nuclearizzazione” e alla nascita della famiglia coniugale intima, segnata dalla più spiccata autonomia rispetto alle famiglie di origine degli sposi e da relazioni interne più equilibrate e affettuose. Infatti a Ferrara molto più della metà delle famiglie delle classi dominanti presenti al 1911 erano nucleari. In tutti i casi, anche nelle città del Ferrarese gli aggregati domestici erano in maggior proporzione nucleari, perché a differenza che nelle campagne appoderate la famiglia non era un’unità di produzione: nel 1911 nel centro urbano di Ferrara erano nucleari il 59% delle famiglie (con il 12% di nuclei di solitari), mentre nel “forese”, l’ampio territorio rurale del Comune capoluogo, erano solo 48%, poco più della quota di famiglie complesse (45%). Nello stesso campione, le famiglie degli operai presentavano caratteristiche simili a quelle dei braccianti e lo stesso valeva per gli artigiani.

Un quadro della famiglia che si limitasse alla struttura o al numero dei membri sarebbe limitato. La struttura familiare cambia continuamente e una fotografia statica, modellata sugli stati delle anime o sui fogli di censimento, non restituisce appieno il ciclo della vita familiare, condizionato dalle variabili demografiche (mortalità, natalità, migrazioni) e dalle stesse modalità di formazione della famiglia a partire dal matrimonio. Nel XIX secolo anche nel Ferrarese si allargò il margine di autonomia dei giovani, ma i vincoli restavano pesanti. Le scelte dei genitori condizionavano le prospettive matrimoniali, come evidenziava la frequenza di legami fra parenti (un tempo proibiti dall’autorità ecclesiastica) o la forte endogamia sociale (che sconsigliava unioni fra sposi di condizioni economiche troppo diverse). Pesavano anche le norme comunitarie e religiose, mentre nelle campagne permaneva anche il condizionamento dei proprietari, perché i patti agrari (con la sanzione legale del codice civile) implicavano forme di controllo sulla nuzialità. Le famiglie complesse erano dovute a matrimoni tardivi, per cui i giovani restavano più a lungo nella casa paterna, ma anche alla scelta patrilocale, cioè al trasferimento della sposa nella casa del padre dello sposo. Al contrario le famiglie bracciantili, in assenza di patrimonio e dipendenti dai redditi individuali dei membri, erano segnate più spesso dalla scelta neolocale, per cui la coppia cambiava casa, anche se ripiegare sull’abitazione dei parenti, dando vita a un aggregato multiplo, si rendeva talora necessario per meri motivi economici. Nel ciclo di vita famigliare rientrava anche la fuoriuscita temporanea di giovani fra i dieci e i vent’anni, impiegati come garzoni artigiani o servi rurali presso altre famiglie contadine, oppure come domestici in città o presso famiglie più agiate: una logica, presente soprattutto nelle famiglie coloniche, che serviva ed equilibrare il numero di braccia da lavoro con quello delle bocche da nutrire (secondo un modello poi teorizzato dall’economista russo Cajanov), ma anche a risparmiare in vista di un matrimonio (anche per la formazione delle doti femminili). La struttura familiare, inoltre, cambiò anche storicamente: l’Ottocento vide una graduale erosione delle famiglie complesse, per il declino della boaria e la proletarizzazione, determinati dalle bonifiche e dalla trasformazione capitalistica, più che per gli altri grandi mutamenti del secolo (industrializzazione e urbanizzazione), in verità assai lenti nel Ferrarese. Una tendenza alla nuclearizzazione nelle campagne accompagnò quindi quella urbana.

Struttura, ciclo di vita e modalità di formazione delle famiglie non determinano meccanicamente le relazioni interne, cioè i rapporti di autorità e le forme dell’affettività fra genitori e figli, mariti e mogli, suoceri e sposi: è un terreno difficilmente abbordabile dalla ricerca storica, specie per le classi subalterne, se non attraverso lo sguardo dei ceti colti o le occasioni di conflitto aperto. Giovani e donne vivevano sotto l’autorità assoluta del capofamiglia, solitamente maschio, che venne intaccata solo dalle svolte del XIX secolo: alcune aperture nel diritto di famiglia sancite dai codici civili; il poter contare su un reddito indipendente, grazie alla domanda di lavoro bracciantile o al servizio domestico; la spinta femminile al controllo della riproduzione per diminuire il numero di figli; la scolarizzazione postunitaria; il servizio militare obbligatorio, che portava per anni fuori della famiglia e lontani dai luoghi di origine, come, in altri termini, la mobilità territoriale e le migrazioni temporanee. Questi mutamenti rafforzavano la posizione di figli e mogli, ma aprivano anche a frizioni e rotture.

Infine le relazioni familiari non si fermavano alle mura di casa. Se è vero che l’aggregato domestico poteva prevedere anche la presenza di non-parenti, la parentela si estendeva ben oltre i suoi confini, a disegnare una rete fitta che collegava nuclei di fratelli, zii e cugini talora molto vicini (la casa accanto, lo stesso quartiere o paese), talora sparsi in un bacino territoriale anche ampio. Non sempre questi legami erano attivi e vivi, ma visite periodiche e incontri in particolari occasioni (fiere, mercati, feste) sorreggevano le forme di reciprocità, una risorsa fondamentale per far fronte alle difficoltà quotidiane e che includevano gli scambi matrimoniali, di risorse economiche (denaro, ma soprattutto lavoro e garzoni) e l’aiuto a persone sole o in condizioni precarie (come l’ospitalità a vedove, orfani, anziani). La stessa mobilità geografica era una forma di adattamento a condizioni sociali e demografiche mutevoli (sfratto, disdetta del patto, ricerca di un lavoro, lutto) resa possibile, in parte, dalla rete di informazioni e conoscenze condivise lungo linee parentali.

 

MN, 2012

 

Bibliografia

Gino Rasetti, I censimenti generali della popolazione come strumento di indagine sulle strutture familiari, «Bollettino di studi e ricerche da archivi e biblioteche», n. 2, 1980, pp. 103-106; Marzio Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, il Mulino, 1984; Pier Paolo Viazzo, Dionigi Albera, La famiglia contadina nell’Italia settentrionale, 1750-1930, in Storia della famiglia italiana, 1750-1950, a cura di Marzio Barbagli e David I. Kertzer, Bologna, il Mulino, 1992, pp. 159-189; Maura Palazzi, Donne sole. Storie dell’altra faccia dell’Italia tra antico regime e società contemporanea, Milano, Bruno Mondadori, 1997; Pier Paolo Viazzo, What’s so special about the Mediterranean? Thirty years of research on household and family in Italy, «Continuity and Change», 1, 2003, pp. 111-137.

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