Organizzazioni operaie

Camera del Lavoro di Ferrara, Lettera circolare, 23 giugno 1901 Camera del Lavoro di Ferrara, Lettera circolare, 23 giugno 1901 Archivio storico della Camera del Lavoro di Ferrara, ISCoFe

Fino al XVIII secolo il lavoro nelle città europee era organizzato in corporazioni (dette anche “università” o “arti”): un maestro artigiano insegnava il mestiere agli apprendisti e gestiva la produzione, la riparazione, la vendita di specifici beni. Entro le mura non si poteva esercitare, poniamo, l’arte della lana, il mestiere di sarto o vendere pesce, senza far parte della corporazione specifica. Il sistema valeva a garantire la qualità dei prodotti e un’equa remunerazione dei lavoranti. Fra Sette e Ottocento la commercializzazione e lo sviluppo industriale suggerirono ai governanti lo smantellamento del sistema corporativo. La “liberazione” del lavoro dai vincoli di antico regime rappresentò un’emancipazione parziale e contraddittoria: gli artigiani vennero sottoposti a una sregolata concorrenza e nelle manifatture e poi nelle fabbriche la condizione operaia peggiorò drasticamente. Una svolta storica si registrò con la formazione delle prime associazioni libere di lavoratori, le società di mutuo soccorso, tese ad assicurare ai soci assistenza in caso di malattia e talora di disoccupazione. Queste società divennero l’alveo di una maturazione sindacale in senso moderno, perché aprirono progressivamente le loro casse al finanziamento della “resistenza”, cioè degli scioperi, la nuova forma di conflitto per rivendicare migliori condizioni di lavoro. Questo processo generale vale, con tempi propri, anche per il caso italiano, ma va articolato in quadri regionali e locali specifici. Nel Ferrarese la transizione ottocentesca si dà in forme particolari: da un lato, l’industrializzazione debole e tardiva sancisce la persistenza delle società mutualistiche urbane; dall’altro, dopo la stagione delle bonifiche le campagne vedono uno straordinario sviluppo dell’organizzazione di classe, che fanno del Ferrarese uno dei centri del movimento bracciantile italiano, un’esperienza senza pari nel resto d’Europa.

Le corporazioni ferraresi, anche prima del tentativo di riordino di Benedetto XIV nel 1755, attraversarono nel XVIII secolo una forte crisi e l’arrivo dei francesi mise fine a una situazione critica. Nel giugno 1796 la Costituzione della Repubblica Cispadana (art. 384) scioglieva le corporazioni e nel luglio 1797 la Costituzione della Repubblica Cisalpina (art. 356) confermava il provvedimento, che prevedeva anche l’incameramento dei beni delle vecchie arti. «Ogni Cittadino», ricordava un editto della Municipalità ferrarese del settembre 1797, «è autorizzato ad esercitare qualunque scienza o arte, senz’obbligo di pagare pei vecchi titoli, aggravio ed imposta alcuna». Il mese successivo la Municipalità si trovò tuttavia a dover stigmatizzare la «colpevole negligenza» o la «male intenzionata renitenza» di molti ex-mastri a depositare gli atti delle arti, minacciando il ricorso a «forti mezzi di particolare requisizione». Con la Restaurazione le corporazioni non vennero ripristinate, poiché fra il 1800 e il 1801 Pio VII le aveva abolite anche nei territori pontifici. Eliminati i vincoli e le regole del sistema corporativo, i rapporti di lavoro nella produzione e nel commercio restarono affidati al diritto privato. La legge impediva però l’organizzazione dei lavoratori e sanciva così una “naturale” disciplina del lavoro che, dati i rapporti di forza, assicurava il pieno dominio dei proprietari. Per oltre mezzo secolo i lavoratori si organizzarono informalmente o illegalmente, non potendo dar luogo ad associazioni professionali.

All’indomani del 1848 nell’Italia settentrionale si costituirono le prime “società operaie” e dopo l’Unità si diffusero ovunque. Nel 1860 viene fondata a Ferrara la prima società di mutuo soccorso. Al 1875 erano ancora solo 11, ma nel giro di un decennio se ne aggiunsero molte altre: al 1885 esistevano infatti in tutta la provincia 42 società con oltre 6.000 soci. Gran parte di esse si concentravano nel capoluogo e rientravano nelle strategie egemoniche di settori della nobiltà e della borghesia locali, dirette soprattutto a impiegati, commercianti e artigiani. Ma proprio in quegli stessi anni, sull’impulso dell’allargamento del suffragio, anche i democratici diedero il loro contributo alla crescita dell’associazionismo operaio, organizzando quei ceti sociali più difficilmente inquadrabili dall’approccio paternalistico dei gruppi dirigenti. Proprio in contrapposizione al mutualismo moderato, a Sani e ai radicali si dovette nel 1885 la formazione della Consociazione mutua e due anni dopo del Consolato operaio. Tuttavia nemmeno i democratici incentivarono un’organizzazione dei subalterni autonoma dalla politica e conflittuale sul terreno economico, tanto che lo sciopero rimase propugnato solo dagli sparuti gruppi internazionalisti e poi socialisti ferraresi e da qualche esponente classista dell’associazionismo.

Fra i frutti dell’impegno democratico e radicale, si segnala comunque l’avvio dell’organizzazione della sempre più numerosa classe dei braccianti. Sull’onda delle leggi che consentivano alle cooperative di assumere in appalto i lavori pubblici, dal 1889 anche nel Ferrarese, sul modello ravennate, prese avvio un fervore associativo. Attraverso questa forma di auto-organizzazione produttiva si ravvivava un’antica tradizione di lavoro collettivo (si pensi alla gestione delle acque), che consentiva di evitare la mediazione degli appaltatori e la loro gestione selettiva delle assunzioni, per redistribuire le rare occasioni di lavoro che si offrivano nell’inverno ai braccianti disoccupati. A partire da Berra, nel giro di pochi anni si formarono un ventina di cooperative, che costituirono l’alveo della maturazione di una coscienza di classe. Negli stessi anni si registravano infatti i primi scioperi nelle campagne (a Copparo, Massafiscaglia e Ostellato) e anche rivolte bracciantili (ad Argenta e Comacchio) che cominciavano a impensierire i proprietari locali, anche se non avevano dato luogo a stabili organizzazioni di classe.

Al 1895 le società mutualistiche ferraresi erano 67 e raccoglievano oltre 9.000 soci. Il passaggio dal mutualismo alla resistenza si andava compiendo, ad esempio, in una delle realtà più vivaci della provincia. Gli scioperi e le agitazioni nei cantieri della bonifica di Burana, incentivati anche dall’apporto di operai giunti dalle provincie vicine, radicalizzarono la vecchia Società operaia di Bondeno, controllata ora dai socialisti e ispirata a una visione classista della società rurale. Bondeno anticipò di qualche anno un movimento generale. La repressione governativa del 1894 non riuscì a comprimere l’onda rivendicativa che saliva dalle campagne e che si espresse nel grande sciopero dell’estate del 1897. Allo stesso modo, il convulso biennio 1898-1899 poté solo ritardare l’approdo dei lavoratori ferraresi all’organizzazione di classe. Nella primavera del 1901, fra scioperi spontanei si formò in quasi tutte le frazioni una “lega” bracciantile: a maggio si unirono in una Federazione, forte di 56 leghe e quasi 16.000 iscritti.

Poche settimane dopo, mentre prendeva corpo uno sciopero estivo ancor più vasto di quello del 1897, per opera della Consociazione mutua e dell’onorevole radicale Guglielmo Ruffoni si costituì la Camera del Lavoro di Ferrara. Si evidenziò da subito una sfasatura fra parte dei lavoratori della città, organizzati in leghe di mestiere da radicali e repubblicani, e le masse bracciantili ormai conquistate al socialismo: per non subirne la direzione, artigiani ed operai del capoluogo cercarono di impedire l’adesione delle leghe rurali, ma non riuscirono a evitare la presenza massiccia delle organizzazioni copparesi, presenti alla fondazione. Questa riedizione proletaria del secolare conflitto fra città e campagna si sarebbe risolta in breve. Per un verso, la preponderanza numerica e la combattività dei lavoratori rurali fecero di Ferrara una delle capitali del movimento bracciantile italiano. D’altro canto, gli stessi lavoratori ferraresi si radicalizzarono e abbandonarono la tutela democratica per assumere un profilo più spiccatamente classista, come nel caso dei ferrovieri. L’età giolittiana fu attraversata da numerosi scioperi rurali: incalzati dalla disoccupazione e dalla reazione degli agrari i braccianti rafforzarono le loro leghe e si impegnarono in lunghe e drammatiche vertenze, come quelle del 1904, del 1906-07 e del 1911-13. La spaccatura fra città e campagna, tuttavia, si ripropose ancora all’interno del movimento operaio, come divaricazione non solo fra intellettuali cittadini e organizzatori rurali, ma ancora fra il mondo del lavoro urbano, diviso fra la specializzazione artigianale, le piccole botteghe e gli impieghi stagionali (ad esempio nei nuovi zuccherifici), e l’inquadramento sindacale e comunitario dei braccianti delle campagne, teso a fronteggiare la scarsità di lavoro con una redistribuzione egualitaria delle giornate gestita direttamente dal collocamento sindacale. Queste fratture sociali aiutano a comprendere le incessanti polemiche fra socialisti riformisti e sindacalisti rivoluzionari, che portarono la Camera del Lavoro, il mondo sindacale e lo stesso partito socialista a diverse scissioni e a mutamenti di linea.

Nonostante divisioni e sconfitte, i lavoratori ferraresi avevano conquistato salari e condizioni lavorative migliori, ma soprattutto avevano costruito un mondo nuovo, articolato in molteplici forme organizzative: oltre al partito socialista e alle leghe sindacali, occorre ricordare almeno le camere del lavoro, le cooperative, le case del popolo e tante altre associazioni culturali, sportive, ricreative. Alla vigilia della guerra, mentre calava il numero delle vecchie società mutualistiche, la Camera del Lavoro provinciale riuniva 325 leghe e 37.000 iscritti.

MN, 2011 

Bibliografia

Pietro Sitta, Le università delle arti a Ferrara dal secolo XII al secolo XVIII, «Atti della Deputazione ferrarese di storia patria», VIII, 1896, pp. 5-244; Renato Sitti, Italo Marighelli, Un secolo di storia del movimento cooperativo ferrarese 1860-1960, Roma, Editrice cooperativa, 1960; Teresa Isenburg, Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle bonifiche ferraresi (1872-1901), Firenze, La Nuova Italia 1971; Alessandro Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920), Firenze, La Nuova Italia, 1972; Elisabetta Arioti, Le società operaie di mutuo soccorso di Bondeno e i loro archivi, Bologna, Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, 1995.

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