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Istituzioni culturali

La nascita della Scuola di Ornato, nel 1820, fu intesa come un momento istituzionale sulla strada della formazione dello stile e della maturazione di competenze locali (vedi: Pittura; Architettura e scultura). Il progetto prevedeva la “costruzione” di un gruppo di persone, non necessariamente “artisti”, in grado di intervenire nella città conservando e mantenendo il suo decoro. Docente e animatore ne fu Giuseppe Saroli (1779-1873), il pittore che scoprì gli affreschi quattrocenteschi di Schifanoia (vedi Musei) dandone notizia nel 1821 negli Atti, pubblicazione che per il triennio 1820-22 divulgò le attività e la vita della Scuola, che aveva sede presso il Civico Ateneo. L’intento era stato, fin dagli inizi, quello di creare una scuola di arti e mestieri, ricollegandosi alla tradizione estense dell’artigianato e dell’arredo urbano. Ma, come scrive Ranieri Varese, la Scuola «ripiegò su se stessa» nel momento in cui cadde l’idea “artigiana” per formare, con maggior ambizione, “professori” e “artisti”. Il culmine della crisi si ebbe alla fine degli anni Sessanta, quando Girolamo Scutellari, deputato della Commissione Municipale di Belle Arti, denunciava, insieme alla modesta istruzione di chi insegnava, un generale stato di degrado. Nel 1870 fu pubblicato il Nuovo Regolamento per le scuole di Belle Arti, che definiva i campi delle attività e i corsi, mantenuti dal Comune: Ornato-elementi di Architettura e Prospettiva; Figura “dai primi elementi sino alla statuaria compresavi”; Nudo e Anatomia, “Pittura ad olio compresavi la Composizione”; Scultura “figurativa ed ornamentale, tanto in plastica quanto in marmo”. Il Consiglio comunale cambiò totalmente l’ordinamento delle Scuole nel 1881, sottolineandone di fatto l’esaurimento del ruolo strettamente legato all’arte e aprendole ai segnali provenienti dal mondo del lavoro e dai cambiamenti sociali, verso le arti applicate, l’artigianato e l’industria. La “Scuola di disegno per artisti e artefici” prenderà poi il nome di “Scuola di disegno Dosso Dossi”.

Nella serie di cambiamenti e di passaggi, qui appena accennati, si inserisce l’istituzione, nel 1868, della “Società Promotrice di Belle Arti Benvenuto Tisi”, sulla scia del forte interessamento verso le arti figurative riscontrato nella seconda metà dell’Ottocento. Alla Società aderirono anche architetti e scultori come Giovanni Pividor, Ambrogio Zuffi, Angelo Conti, Camillo Torreggiani, mentre tra i pittori che si distinsero si devono ricordare Gaetano Previati – sempre presente nelle esposizioni della “Benvenuto Tisi” –, Giuseppe Mentessi, il ritrattista Angelo Longanesi, il paesaggista Augusto Droghetti, Giuseppe Mazzolani, Federico Bernagozzi.

Il 17 marzo 1884 segna un momento importante per la cultura ferrarese: la costituzione della Deputazione di storia patria, dietro l’impulso del sindaco di Ferrara Anton Francesco Trotti – primo presidente – che garantì alla neonata associazione una sede e adeguati mezzi finanziari per iniziare l’attività. Il sodalizio nasceva con le funzioni delle società storiche fondate negli ultimi decenni del’Ottocento negli ex Stati italiani preunitari con lo scopo di contribuire allo studio della storia della città e del suo territorio, come chiaramente espresso nelle finalità dell’istituzione ferrarese: “La Deputazione si occupa di tutto ciò che spetta alla storia di Ferrara, dalla sua origine ai tempi nostri, indagando dovunque le memorie del passato, illustrando monumenti, traendo dagli archivi, sì pubblici che privati, quella ricchezza di patrie notizie politiche, civili, militari, religiose, letterarie, artistiche, archeologiche e biografiche che vi giace tuttavia negletta. Prende anche a materia delle sue ricerche le memorie della altre provincie italiane, laddove abbiano relazione con la storia di Ferrara. Si occupa della pubblicazione dei codici diplomatici degli statuti, delle cronache della città e suoi territori odierni e di quelli sui quali in passato signoreggiò, e di tutti gli altri documenti inediti che comunque interessano Ferrara nonché di bibliografie riferentisi a studi storici ferraresi, e si può pure occupare di studi folcloristici e del dialetto, e della letteratura dialettale dell’intera provincia”. Quando il primo presidente morì, la Deputazione contava già tredici pubblicazioni. Dal 1886 pubblica la serie “Atti e Memorie”.

Da una costola della Deputazione di storia patria nacque la “Ferrariæ Decus” per iniziativa di Giuseppe Agnelli (1856-1940), vice di Anton Francesco Trotti, alla cui morte subentrò come presidente. Il principale impegno statutario era (ed è ancora) la tutela del patrimonio artistico, da perseguire accanto e in parallelo alla ricerca e allo studio della storia. Il 7 febbraio 1906 nella Sala dei Matrimoni (ora Sala degli Arazzi) della residenza Municipale, si radunarono sessanta cittadini che fondarono la società per la conservazione dei monumenti ferraresi in risposta alla situazione di degrado e di incuria della città, che lo storico dell’arte e senatore Corrado Ricci aveva definito «la più spogliata d’Italia». Riuniti in assemblea il successivo 15 marzo, i fautori del nuovo sodalizio decisero la denominazione di “Ferrariæ Decus”, il decoro di Ferrara. Il primo presidente fu lo stesso Agnelli – direttore della biblioteca Ariostea, allievo prediletto di Giosuè Carducci e presidente della Deputazione di storia patria – che guidò l’associazione fino alla morte. Non è possibile elencare la capillare attività della Ferrariæ Decus nei 34 anni della presidenza Agnelli, un impegno faticoso ma affrontato per diletto, con un interesse “pionieristico” e diffuso per il patrimonio culturale, perché “anche le più tenui testimonianze sono parole del passato”, come diceva lo stesso presidente nella sua relazione generale del 1909.

Per l’impegno di un gruppo di intellettuali guidati da Giosuè Carducci, nel 1889 nasceva la “Società Dante Alighieri”, avente come fine principale la tutela e la diffusione della lingua e della cultura italiana nel mondo, “ravvivando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la madre patria e alimentando tra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà italiana” (art. 1 dello Statuto sociale). L’attività si indirizzava sia all’interno dei confini nazionali, sia all’estero e non solo in Europa (per esempio organizzando corsi di lingua italiana per gli emigrati). Il sodalizio fu intitolato dai fondatori a Dante Alighieri per confermare come in quel nome si fosse compiuta l’unità linguistica nazionale, riconosciuta politicamente sei secoli dopo. Le attività di formazione culturale della “Dante” ebbero una forma meglio strutturata dai primi decenni del Novecento, quando furono costituiti corsi per la preparazione degli insegnanti di italiano dell’estero. Subito dopo la prima guerra mondiale vennero istituite anche le “Borse Premio” della Società per le terre irredente.

Il Comitato di Ferrara già nei primi anni del Novecento acquistava una certa notorietà grazie al fondatore Pietro Niccolini (1866-1939) e al suo impegno politico-culturale (sindaco, parlamentare, senatore, presidente della Cassa di Risparmio, direttore del Museo di Schifanoia, presidente di numerose associazioni culturali e sociali). Niccolini resse il sodalizio fino al 1932, anno delle sue dimissioni irrevocabili dopo l’allontanamento dalla vita politica anche per gravi motivi di salute. Presto nacquero sottocomitati nei Comuni provinciali, sottocomitati giovanili e uno di “signore e signorine”. Il Comune e la Provincia si associarono in perpetuo al sodalizio, insieme a diversi Enti e scuole, mentre i consiglieri partecipavano a congressi internazionali ricevendo attestati di riconoscimento per l’importante lavoro svolto a Ferrara.

 

La redazione, 2013

 

Bibliografia

Ranieri Varese, Le istituzioni e l’immaginario ufficiale nel XIX secolo, in Storia illustrata di Ferrara, a cura di Francesca Bocchi, Milano, Nuova Editoriale AIEP, 1989, vol. IV, pp. 817-832; Luciano Chiappini, Introduzione a Ferrara nell’Ottocento, Roma, Editalia, 1994, p. 44; Cento anni di tutela del patrimonio storico e artistico, «Bollettino della “Ferrariæ Decus» (Studi Ricerche Cronaca di un centenario), 23, 2006, pp. 240-255; Luisa Carrà Borgatti, Il centenario di Pietro Niccolini, «Ferrara. Voci di una città», 26, 2007; Carla di Francesco, La Ferrariæ Decus ha cento anni, ivi.

 

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