Emancipazioniste e femministe

 

 

Anche a Ferrara il triennio giacobino e l’età napoleonica segnano l’ingresso sulla scena pubblica delle donne, che partecipano attivamente ai fermenti rivoluzionari e alla vita delle nuove istituzioni cittadine. Tra i 289 soci fondatori della Società del Casino – che si riunì per la prima volta il 5 luglio 1803 nei locali del teatro comunale – 70 sono le donne, che avevano accesso al circolo con pari diritti. Tra di esse ricordiamo Maria Rossi Scutellari (1752-1832), nel cui salotto si progettavano tra l’altro provvidenze a favore dell’infanzia e delle donne in difficoltà. Ad affiancare Maria erano altre signore dell’alta società ferrarese, quali Angela Scacerni Prosperi e la marchesa Maria Calcagnini Zavaglia (1754-1846). Quest’ultima, frequentatrice di corti e accademie e animatrice di uno dei più vivaci salotti cittadini, nutrì un vivo interesse per i problemi dell’educazione delle giovani donne e dei fanciulli indigenti. Collaborò alla riorganizzazione scolastica secondo le direttive esposte nel Piano generale di pubblica istruzione della Repubblica Cisalpina (1797) ed ebbe un ruolo direttivo nel Gran conservatorio per le zitelle, istituito a Ferrara nel 1804. All’educazione delle donne si consacrò anche la marchesa Ginevra Canonici Facchini (1779-1870), nobildonna colta e letterata e iscritta a varie accademie. Nel 1824 diede alle stampe una lettera Sulla educazione e direzione de’ grandi conservatori, la finalità dei quali avrebbe dovuto essere non solo di rendere le donne degne «di portare il titolo rispettabile di spose e di madri e di adempierne tutti i doveri», ma anche «di poter bastare a se stesse, se la sorte le condanna al celibato»: convinzione che sorgeva dalla constatazione che «le guerre, l’avarizia dei parenti, le malattie e mille imprevedute circostanze, lasciano languire una gran parte del nostro sesso privo di un compagno […] e spesso l’irreligione, l’immoralità e l’ignoranza, lungi dall’offrire nel marito una guida e un asilo, pone al fianco un oppressore, un distruttore della pace, un obice possente alla buona condotta dei figli». Parole da cui traspare un’innegabile valorizzazione degli spazi di autonomia esperibili dalle donne al di fuori della famiglia. Il programma educativo illustrato dalla marchesa contemplava non soltanto la musica e il disegno, il ballo e i lavori d’ago, ma anche la grammatica italiana e le lingue straniere, la geografia, la storia, le scienze, la cosmografia, e la geometria, «che essendo un complesso di ragionamenti, ajuta a sviluppare la ragione». Sulla stessa linea di pensiero si colloca l’opera più celebre di Ginevra Canonici: il Prospetto biografico delle donne italiane rinomate in letteratura dal sec. XIV fino ai giorni nostri con una risposta alla Lady Morghan riguardante alcune accuse da lei date alle donne italiane (1824).

 

All’impegno profuso nel campo delle politiche educative dalle “cittadine” di Ferrara si votarono anche le donne della generazione successiva, i cui ambiti d’azione privilegiati furono l’assistenza all’infanzia e l’istruzione dei bimbi. In tale contesto spicca l’iniziativa di Luisa Recalchi(1814-1892), moglie del medico mazziniano Carlo Grillenzoni. Sebbene un decreto della Suprema Inquisizione avesse proibito nel 1837 l’apertura di asili infantili nello Stato pontificio, nel 1846 Luisa riuscì a fondare un ricovero per fanciulli abbandonati o figli di donne lavoratrici, lo Scaldatojo, che si trasformò in breve tempo in un vero asilo d’infanzia. Nell’impresa la Recalchi fu coadiuvata da altre «dieci caritatevoli signore», tra cui Antonietta Massari Masi (1813-1897) e Gianna Maffei Trotti Mosti (1798-1879), che fu in contatto epistolare con Ferrante Aporti, ai cui principi educativi si ispirarono i primi asili di carità ferraresi. All’opera assistenziale ed educativa tali donne coniugarono l’aperto sostegno alla causa dell’unità e dell’indipendenza nazionale. A casa della marchesa Maffei si riunivano i patrioti che diedero vita all’insurrezione del 7 febbraio 1831 e lei stessa collaborò al foglio «L’Italiano», diretto da Gaetano Recchi. La Massari Masi fu invece attiva nella rivoluzione del 1848, come attestano l’Elenco dei compromessi politici di Ferrara e il manifesto Doni fatti dai cittadini sulla Piazza di Ferrara nei giorni 4, 5, 6, 8 maggio 1848 per la causa della Crociata depositati alla Comune. Durante le cinque giornate di Milano e nei mesi successivi «soccorse con grandi sussidi i reduci della guerra che riempivano i nostri ospedali e nella sua stessa casa apriva un ospedalino succursale che essa manteneva a proprie spese». Nel 1849 la figlia Malvina Trotti Mosti(1818-1905) seguì il marito Giovanni Costabili a Roma ove, insieme alla principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso e ad altre donne italiane, diresse gli ospedali militari. Fu in stretti rapporti con Garibaldi e con Mazzini. Nel 1859 fu presidentessa del comitato costituito da alcune signore ferraresi che raccolsero e apprestarono indumenti e soccorsi per i feriti della seconda Guerra d’indipendenza. Fu ispettrice delle prime scuole comunali istituite dopo il 1860. Tra le donne che parteciparono alle vicende risorgimentali si segnalano inoltre Carolina Scutellari Boldrini (1825-1900), che nel 1848 consegnò ai volontari romani in partenza per Vicenza i vessilli e la Bandiera ricamata dalle donne ferraresi e Vaniglia Vitali Norsa Pesaro (1822-1851), una delle tante donne ebree che fecero donazioni a sostegno della causa italiana. Nel febbraio 1848 Vaniglia era stata ammessa alla Società del Casino, che per impulso degli eventi rivoluzionari, si era aperto ai maggiorenti della borghesia ebraica. Anche alcune donne del popolo si distinsero nella crociata contro gli austriaci: tra queste la fruttivendola Rosa Angelini Casale (1824-1891), che partecipò, come vivandiera del 9° Reggimento volontari italiani, alla campagna del 1866, «dando anche prova di coraggio veramente virile e di cuore ben fatto in più di una peripezia».

 

Se la partecipazione al processo di unificazione nazionale consentì a molte donne di accedere alla sfera pubblica e di sperimentare nuovi spazi di libertà e autonomia, è stato da più parti osservato come i modelli femminili promossi dal movimento mazziniano finissero spesso per ribadire una concezione conservatrice dei ruoli di genere e degli assetti familiari: la donna restava principalmente moglie e madre di cittadini e la sua attività al di fuori delle mura domestiche si limitava all’educazione, all’assistenza e alla beneficienza. Le stesse iniziative educative a cui abbiamo accennato – principalmente miranti a forgiare buone mogli e buone madri – non sovvertivano né i ruoli di genere, né le gerarchie di classe.

 

Nel solco di questa tradizione d’impronta liberale moderata si pongono all’inizio del Novecento istituzioni come la sezione ferrarese della Società nazionale di Patronato e Mutuo Soccorso per giovani operaie, promossa da Argia Riva e presieduta da Paolina Pepoli Mosti. Nel ricreatorio festivo erano impartite lezioni di lettura, scrittura e disegno alle «giovinette del popolo», intrattenute con balli, esercizi ginnici e conferenze.

 

A Cento la marchesa Maria Majocchi Plattis (1864-1917) fondò nel 1905 un’associazione femminile che si proponeva di «proteggere le figlie del popolo togliendole ai pericoli e all’ozio della strada». A tal scopo era istituita una scuola preparatoria operaia in cui le giovani apprendevano i lavori femminili. Giornalista e scrittrice di fama, prolifica autrice di romanzi di successo destinati a un pubblico femminile, Maria Majocchi – che si firmava con lo pseudonimo Jolanda – collaborava sin dal 1882 con «Cordelia», una delle riviste femminili più in voga, di cui nel 1911 avrebbe assunto la direzione. Se da una parte la Majocchi rigettava il modello della donna emancipata e mascolina (Adriana, la protagonista del racconto Prime Vittorie (1894), comprende infine che la «vera missione» della donna «non è quella di tirar col fucile o fumar le sigarette o occuparsi di politica», ma di «amare o beneficare … portare la pace e l’amore»), il suo piglio si fa più battagliero e polemico allorché prende di mira pregiudizi misogini assai diffusi. Convinta, sulla scorta di Spencer che l’intelletto femminile avesse «uno sviluppo diverso, ma non inferiore a quello dell’uomo», scriveva: «Quando la donna vuole (e lo vuole poco, per fortuna!) […] non solo vi uguaglia, ma vi sorpassa, giacché acquista la vostra larghezza di mente senza perdere la sua finezza divinatrice che voi ottenete sempre poco e a stento, e artificiosamente. Vorrei che fosse possibile dare ad un giovinetto e ad una fanciulla un’educazione ed un’istruzione identica con la medesima libertà di vita, e vi assicuro che a vent’anni la giovinetta si sarebbe lasciato indietro il suo coetaneo».

 

Connotata da toni e propositi ben più radicali è l’attività della socialista RinaMaranini Melli (1882-1958). Nata a Ferrara da famiglia benestante israelita, a quattordici anni conobbe Paolo Maranini e lo sposò contro il volere dei genitori. Fu con il marito tra i promotori delle prime leghe di resistenza nel Ferrarese. Grazie alla sua intensa attività di organizzazione e propaganda, nel maggio 1901 le leghe femminili provinciali ascesero a 38, contro le 56 maschili. Nel 1901 fondò «Eva», il primo periodico femminile socialista apparso in Italia, dalle cui colonne sostenne le battaglie politiche condotte dalle donne del PSI: contro l’allattamento mercenario, per la ricerca della paternità e l’assistenza alle madri povere, a favore della legge Turati-Kuliscioff per la difesa della donna e del fanciullo. Trasferitasi la Melli a Genova nel 1902, la sua eredità fu raccolta dalla maestra elementare Alda Costa (1876-1944). La Melli non si occupò solo delle condizioni materiali delle donne madri e lavoratrici: «Eva» pubblicava una rubrica intitolata Dal campo al tavolino in cui si invitavano le lettrici a studiare e a partecipare al vasto «movimento intellettuale» che andava svolgendosi nel senso di «un continuo emanciparsi, un progressivo elevarsi dell’anima femminile». Tuttavia, nel 1906, allorché si riaccende il dibattito sul suffragio femminile, a favore del quale si schiera la stessa Kuliscioff, Rina scrive: «Le donne socialiste devono dimenticare i diritti femminili o femministi per occuparsi del grandioso diritto umano […], lasciamo il femminismo alle borghesine». Non sappiamo cosa pensasse a tal proposito Maria Majocchi.

 

Di origini ferraresi fu una delle donne più in vista del movimento emancipazionista e suffragista italiano d’inizio secolo: Eugenia Vitali, trasferitasi a Verona dopo il matrimonio con Guglielmo Lebrecht. Collaborò al comitato romano pro suffragio femminile e fondò la sezione veronese dell’associazione per la donna, nata a Roma nel 1897. Intervenne al primo congresso delle donne italiane con una relazione sulla scuola areligiosa. Sarà la prima donna italiana ammessa a parlare al circolo giuridico di Roma, dove tenne discorsi sulla ricerca della paternità (1910) e sul divorzio (1914).

 

 

 

CB, 2012

 

 

 

Bibliografia

 

Sugli Asili infantili di Carità in Ferrara. Relazione, Ferrara, 1847; Carlo Zaghi, Donne nel Risorgimento ferrarese, «Rivista di Ferrara», 1934; Cristina Sideri, Ferrante Aporti: sacerdote, italiano, educatore, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 324 e 341; Delfina Tromboni, Dall’“arte del fare” al “fare arte”: storia di tele e di ruoli. Muse, artiste, vestali e “femmes savantes” nella Ferrara tra Otto e Novecento, in Presenze femminili nella vita artistica a Ferrara tra Ottocento e Novecento, Ferrara, Liberty house, 1990; Simona Trombetta, Majocchi Maria, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 67, 2007; Alessandro Roveri, Costa Alda, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 30, 1984; Elena Sodini, Eugenia Vitali-Lebrecht: appunti per una biografia, in Storia della Società Letteraria di Verona tra Otto e Novecento, Verona, Cierre, 2007, pp. 137-160; Il movimento socialista ferrarese dalle origini alla nascita della repubblica democratica, a cura di Aldo Berselli, Cento (Ferrara), Centoggi, 1992; UDI di Ferrara, Progetto 150° - Cittadine senza diritti, Catalogo biografico: https://sites.google.com/site/udiferrara/home/archivio-storico/progetto-150/catalogo-biografico.

 



 

 

 

 

 

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