Età della Restaurazione (1815-1847)

Giuseppe Chittò Barucchi (Ferrara 1817-1900), La fortezza di Ferrara, ante 1860; olio su tela, cm 46 x 80 Giuseppe Chittò Barucchi (Ferrara 1817-1900), La fortezza di Ferrara, ante 1860; olio su tela, cm 46 x 80 Ferrara, Museo dell'Ottocento

Dopo tre mesi di occupazione austriaca, dal 13 aprile al 18 luglio 1815, Ferrara fu reintegrata a tutti gli effetti sotto la dominazione pontificia. Come si leggeva nell’articolo 103 del Congresso di Vienna concernente le Disposizioni relative alla Santa Sede: «La Santa Sede rientrerà in possesso delle legazioni di Ravenna, Bologna e Ferrara, eccettuata la parte del Ferrarese, situata sulla riva sinistra del Po. S. M. I. e R. A. e suoi successori avranno diritto di guarnigione nelle piazze di Ferrara e Comacchio». Ferrara e il suo territorio tornavano dunque ad essere Legazione dello Stato della Chiesa come prima dell’arrivo dei francesi nel 1796, con l’aggravante però, per le popolazioni locali, della presenza permanente dell’esercito austriaco tanto nel capoluogo quanto a Comacchio. «Gli abitanti dei paesi che rientrano sotto il dominio della Santa Sede in seguito delle stipulazioni del congresso», continuava il trattato di Vienna, «godranno degli effetti dell’articolo 16 del trattato di Parigi del 30 maggio 1814». Sulla base di questo precedente accordo, dunque, e della volontà degli Stati vincitori di dimenticare le «divisioni che avevano agitato l’Europa», si stabilì che nessun individuo potesse essere perseguito in ragione della sua opinione politica o della sua adesione ai governi che avevano cessato di esistere, di fatto quelli napoleonici, in seguito alla fine della guerra.

A dispetto di questa intenzione di generale amnistia, alla restaurazione dell’antico ordine seguì nel territorio ferrarese, come altrove, un’immediata azione repressiva condotta contro coloro che avevano abbracciato attivamente gli ideali rivoluzionari e in particolare contro coloro che avevano aderito, nella settimana precedente all’arrivo degli austriaci, dal 6 al 13 aprile, all’occupazione murattiana della città. Una relazione compilata dalla spia ferrarese al servizio degli austriaci, Flaminio Baratelli, elencava coloro che avevano preso la fuga da Ferrara al momento dell’arrivo degli occupanti e che erano stati oggetto di condanna da parte della polizia pontificia. Nella lunga lista dei patrioti colpiti dalla condanna, effettiva o in contumacia che fosse, figuravano elementi di spicco del notabilato cittadino (aristocratici, possidenti, medici, avvocati, studenti), così come appartenenti a professioni manuali quali calzolai, caffettieri, fornai, tagliapietre, ebanisti, ecc.

La restaurazione del potere del papa sulla città di Ferrara e sul suo territorio si scontrò tuttavia con i cambiamenti prodotti durante il periodo napoleonico. Tali cambiamenti, che coinvolsero e ridefinirono gli antichi assetti socio-economici della città e del territorio, si dimostrarono di fatto irreversibili. Furono soprattutto le cosiddette élite a registrare le variazioni più consistenti di composizione all’interno delle sue fila. Durante il ventennio precedente, infatti, erano emerse famiglie di banchieri, mercanti, avvocati la cui posizione si era ormai consolidata nell’ambito della partecipazione politica cittadina. Molti di esse riuscirono, nonostante le origini borghesi, ad entrare tra le fila della nobiltà a fianco delle famiglie di più antico lignaggio. Questi fattori di relativo cambiamento furono di fatto fondamentali nell’imprimere un atteggiamento di insofferenza nei confronti dell’autorità ricostituita rappresentata in quel primo torno d’anni dal segretario di Stato, il cardinale Ercole Consalvi. Con il motu-proprio di Pio VII del 6 luglio 1816, lo Stato della Chiesa si dotava di un apparato amministrativo omogeneo che faceva proprie le direttive uniformatrici lasciate in eredità dal governo napoleonico sui territori recuperati. Questo nuovo indirizzo politico dello Stato pontificio sacrificava pertanto le vecchie autonomie locali (le magistrature cittadine alle quali in maniera concorrenziale era spettata nel corso dei secoli precedenti una parte più o meno ampia di poteri giurisdizionali) a vantaggio di un sistema di governo centralizzato con sede a Roma, in cui prevaleva l’elemento ecclesiastico e che relegava quello laico a un ruolo subordinato.

L’opposizione al governo pontificio, composta dunque solo dalle élite, restando gli strati più umili della popolazione sotto l’egida dei governanti, si espresse in questi primi anni della Restaurazione attraverso la costituzione di società segrete. Ferrara fu un terreno fertile per la nascente Carboneria a cui aderirono in gran parte quegli stessi ex ufficiali napoleonici che nel corso del decennio precedente erano stati iniziati alla massoneria. Nel 1816 la Carboneria ferrarese, che contava tra i suoi membri di spicco Tommaso Tommasi, Antonio Solera, Giuseppe Delfini, Giovanni Battista Canonici, era di fatto ampiamente strutturata operando di concerto con la società bolognese e intessendo contatti con le società della Romagna, delle Marche, di Reggio Emilia e Modena. Nella vendita di Ferrara centrale era il dibattito sul progetto politico nazionale che prevedeva sostanzialmente la creazione di un’Italia monarchica, costituzionale e confederata. Nel 1818 la polizia pontificia portò allo scoperto l’organizzazione ferrarese dando avvio a una serie di arresti e condanne a morte, in seguito commutate in anni di carcere. Alcuni carbonari ferraresi furono inviati allo Spielberg, come il conte Antonio Oroboni che vi concluse tristemente i suoi giorni, altri ebbero maggiore fortuna e furono inviati a Lubiana a scontare dieci anni di prigionia come il Delfini e il Canonici. Quando nel 1820 scoppiarono a Napoli i moti rivoluzionari seguiti l’anno dopo da quelli in Piemonte, i controlli e la pressione esercitata congiuntamente dalle polizie austriaca e papalina si intensificarono, con arresti e carcerazioni spesso preventivi. Questa rigida sorveglianza esercitata per volontà delle autorità ecclesiastiche contribuì, nel corso degli anni Venti, ad esaurire lo slancio delle attività carbonare a Ferrara, e la breve rivoluzione dell’inverno del 1831 avrebbe relegato a ruoli di secondo piano gli appartenenti alle società segrete protagoniste della prima stagione risorgimentale.

Come è noto, gli accadimenti francesi del luglio 1830 che portarono all’abdicazione di Carlo X e all’ascesa al trono di Luigi Filippo d’Orléans, ebbero un’eco rivoluzionaria in molte parti d’Europa. In Italia l’epicentro dei moti fu il territorio emiliano, e in particolare il ducato di Modena da cui partì un tentativo patriottico di rivoluzione che si consumò nel breve spazio di un mese, dal febbraio al marzo del 1831. Scoppiati a Bologna il 5 febbraio, i moti si diffusero immediatamente negli altri Ducati e Legazioni emiliani, tra cui Ferrara da dove il legato pontificio prese subito la fuga. L’esperienza di governo provvisorio che si istituì a Ferrara, caratterizzato da un orientamento politico moderato, fu tuttavia di breve durata. Il 6 marzo, infatti, l’armata austriaca interveniva in aiuto dei papalini restituendo la città al governo pontificio. A questo tentativo di governo autonomo seguì inevitabile la repressione e un inasprimento dei controlli e delle misure di polizia che si servì anche di società segrete reazionarie come quella dei sanfedisti al fine di sventare forme di associazioni politiche clandestine. Nondimeno, malgrado le rigide misure di controllo, i circoli politici clandestini si diffusero rapidamente a Ferrara dove comunque riusciva a penetrare dagli Stati confinanti una pubblicistica capace di alimentare il dibattito politico, preparando il terreno agli avvenimenti che avrebbero portato ai rivolgimenti, in tutta Europa, del 1848. Fu in questi decenni che cominciò a maturare la consapevolezza presso i ceti moderati e democratici, complice la ricezione delle idee mazziniane e garibaldine, della necessità di superare i manifesti limiti di un’azione meramente riformatrice (espressa inoltre attraverso ristretti gruppi settari) a vantaggio di una lotta politica condotta con mezzi più radicali.

Nel corso degli anni Trenta e Quaranta, le élite locali dimostrarono una certa vivacità di iniziativa, capace di innescare nella società ferrarese modificazioni nella situazione economica, culturale e civile della società, malgrado gli ostacoli posti dall’amministrazione ecclesiastica nel soddisfare tali esigenze di crescita e di investimento in senso capitalistico. Sebbene con ritardo rispetto a tali istanze di sviluppo, nel 1838 nacque il primo istituto di credito ferrarese, la Cassa di Risparmio che nel giro di un decennio avrebbe quintuplicato il proprio totale di cassa, tra patrimonio e credito. Sempre negli stessi anni, nel marzo del 1841, fu istituita dietro gli auspici di Giuseppe Mayr, una scuola teorico-pratica di agraria a capo della quale fu posto l’agronomo Francesco Luigi Botter. La scuola, che cominciò la sua attività nel febbraio del 1843 – nel 1846 fu promossa a Istituto – in un appartamento sito a pian terreno del palazzo dei Diamanti, si proponeva l’obiettivo di insegnare nel corso di due anni scolastici i principi teorici e le pratiche della scienza agraria. Era l’Istituto agrario del Botter l’espressione di una volontà più generale di razionalizzazione della conduzione agricola e dell’aumento della produzione e dei profitti. Anche l’agricoltura ferrarese pativa il ristagno causato dall’amministrazione pontificia che assorbiva con decime e tasse i proventi derivati dal miglioramento dello sfruttamento dei terreni e ostacolava la circolazione delle merci con un rigido sistema doganale. Proprio queste esigenze economiche espresse dall’élite ferrarese, nobile e borghese, unitamente alle aspirazioni (sebbene sempre moderate) di libertà politica, fornirono la spinta per l’adesione ad un più ampio processo di cambiamento di scala nazionale.

CM, 2011

Bibliografia

Patrizio Antolini, Ferrara nella storia del Risorgimento italiano dal 1814 al 1821, Ferrara, Stabilimento Tip. Bresciani, 1885; Patrizio Antolini, Memoria autoapologetica di F... B... ferrarese, commissario generale di polizia, 1813-1833, in «Atti e Memorie» della Deputazione ferrarese di storia patria, XIII, 1901, pp. 168-286; Guido Magnoni Trotti, Renato Sitti, La vicenda dell’Unità d’Italia a Ferrara, prefazione di Luciano Chiappini, Ferrara, Sate, 1970; Luigi Davide Mantovani, All’ombra della fortezza. La Carboneria ferrarese fra Romagna e Veneto, in La nascita della nazione. La Carboneria: intrecci veneti, nazionali e internazionali, a cura di Giampietro Berti, Franco Della Peruta, Atti del 26° Convegno di Studi Storici (Rovigo, Crespino, Fratta Polesine 8-9-10 novembre 2002), Rovigo, Minelliana, 2004, pp. 253-258.

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