Luoghi della socialità

Il Canton della Campana, 1910 Il Canton della Campana, 1910 cartolina, collezione privata

Dai salotti culturali ai caffè, dai circoli alle osterie, Ferrara offriva ritrovi adatti ad ogni categoria sociale, luoghi dove scambiare idee, confrontarsi, discutere, ascoltare, divertirsi. Nei salotti aristocratici della prima metà dell’Ottocento agli incontri mondani si alternavano le riunioni cospirative contro l’Austria, ma le “associazioni” non erano soltanto quelle segrete, ne esistevano altre per lo svago dei nobili e della cosiddetta “notabilità civile”: banchieri, commercianti, professionisti, possidenti, funzionari pubblici, militari. Negli anni della Restaurazione nei “casini dei nobili” – ai quali si accedeva pagando una quota associativa che finanziava le attività ricreative – si poteva leggere, giocare a carte o a biliardo, a scacchi o a dama, colloquiare, intervenire a feste danzanti e a concerti. Due erano i circoli a Ferrara: il Circolo Unione e il Circolo dei Negozianti.

Il primo nacque da un progetto che prese corpo nella primavera del 1803, quando il marchese Carlo Bentivoglio e il notaio Ruggiero Ragazzi, affiancati dal conte Girolamo Cicognara e dal commerciante-banchiere Luigi Massari, decisero di studiare un Piano per un Casino di Società in qualche modo erede di due sodalizi nati nel decennio precedente nei locali del teatro comunale: il Casino de’ Cittadini (1793-1802) e il Circolo costituzionale (1798). La Società del Casino si riunì per la prima volta il 5 luglio 1803 nella platea del teatro per la presentazione di un regolamento provvisorio e l’elezione delle cariche che, oltre alla conferma dei quattro promotori, videro presidenti Alessandro Strozzi e Antonio Avogli Trotti. Già da questo primo incontro risalta un elemento di modernità del sodalizio: tra i votati vi furono anche sei signore (Adelaide Foscarini Bentivoglio, Marietta Rossi Scutellari, Anna Massari, Wilhelmina Stein Strozzi, Caterina Malvezzi Mazza, Giuseppa Massari Recalchi). Fin dall’inizio, infatti, le donne – 70 comprese nel novero dei 289 fondatori – ebbero accesso con pari diritti al circolo, aperto anche ai “forestieri” previo avviso al presidente di turno. La sera del 28 dicembre 1803 ebbe luogo la grande festa dell’inaugurazione ufficiale della Società del Casino – nome conservato fino al 1888, poi cambiato in Circolo Unione – nei locali del teatro comunale ora noti come Ridotto, di fronte al Cantòn della Campana. Il «primogenito dei circoli italiani» – così lo definisce l’Enciclopedia Treccani – durante i moti risorgimentali fu più volte colpito per il patriottismo degli aderenti, che continuarono ad impegnarsi nel sociale, come in occasione della rotta del Po del 1872, quando alcuni soci ospitarono nelle loro case famiglie di alluvionati. Nelle sue sale passarono Giosué Carducci, Vincenzo Monti e Leopoldo Cicognara (amici della socia Marietta Scutellari, fondatrice di un frequentatissimo salotto culturale); scrittori, studiosi, compositori e regnanti nel secolo lungo attraversato da vicende fondamentali per la storia d’Italia e della città, dalla Rivoluzione francese al Regno d’Italia.

E proprio alla vigilia della proclamazione del Regno d’Italia, il 26 febbraio 1861, nacque il Casino dei Negozianti, di origine e di ispirazione risorgimentale, idealmente erede del Circolo Nazionale ferrarese e della Società del Movimento. Uno dei soci fondatori fu Felice Bartoletti, che possiamo vedere ritratto ne La famiglia del Plebiscito di Giovanni Pagliarini – opera esposta al Museo dell’Ottocento – mentre legge i risultati della consultazione popolare del marzo 1860 che sanciva l’annessione di Ferrara al Regno d’Italia. I 155 soci, che desideravano un ordine sociale adatto ai tempi nuovi, erano rappresentanti della borghesia del commercio e delle professioni. Il primo presidente del circolo fu Cesare Monti e la prima sede, dal 1861 al 1869, fu nell’antica locanda dei Tre Mori di via Boccaleone, poi lo sfratto costrinse al trasloco in una parte del palazzo Roverella, concessa in affitto per 18 anni dal conte Enzo Aventi. Grazie a versamenti volontari dei soci, la nuova sede fu sistemata, arredata e inaugurata con un concerto e un “gran ballo” il 14 febbraio 1871. Nel tempo l’“eletta Società dei Negozianti” – nelle cui sale erano ammesse donne solo se conviventi con i soci –, nonostante un calo degli iscritti, si strinse sempre più alla vita cittadina, promuovendo iniziative patriottiche, culturali e di solidarietà; il 7 gennaio 1891 vi si aggregò il Circolo di scherma. Il maestoso cinquecentesco palazzo Roverella, attribuito dai più a Biagio Rossetti, nel frattempo aveva cambiato diversi proprietari, fino ad arrivare al cav. Federico Zamorani (1866-1932), ricco agrario di origine ebraica, che dal 1906 fu l’unico intestatario dell’edificio, lasciato in eredità al Circolo del quale era stato socio per quaranta anni.

Nella piazza, poi, indiscusso punto di riferimento per tanti incontri e palcoscenico della vita quotidiana di ogni centro abitato, i pensieri e le parole si mescolavano agli odori che provenivano, allettanti, dalle bancarelle, botteghe, osterie e caffè che numerosissimi vi si alternavano così come nelle vie circostanti. In città, già dagli anni Trenta dell’Ottocento sono documentati lavori di abbellimento alle porte di entrata dei negozi – in questo senso l’istanza di Luigi Bassi, caffettiere presso i Camerini (piazza Savonarola) almeno dal 1832 – mentre data agli anni Sessanta l’invito della Commissione di Ornato del Comune di provvedere alla sostituzione delle serrande di quegli esercizi commerciali che affacciavano sulle piazze; l’articolo 141 del Regolamento di Polizia Municipale, inoltre, disponeva che ogni bottega dovesse essere provvista di un’insegna. La mappa dei caffè e delle osterie si ricostruisce facilmente sfogliando le richieste presentate alla Municipalità per migliorie di ogni genere. Tra gli anni Sessanta e Settanta, solo per fare qualche esempio, nel già ricordato loggiato “dei Camerini” si trovavano, condotti in affitto, la bottega per uso di caffè e il Nuovo Caffè dell’Alba di proprietà rispettivamente di don Antonio Azzi e del dottor Roveri; nella piazza Commercio erano il Caffè Magni e il Caffè Melloni detto anticamente Venerandi – il cui gestore, Achille Melloni, chiedeva di poter scrivere con lettere dorate (or ora arrivate da Parigi) il nome del suo esercizio sui cristalli delle porte –; Giuseppa Saffi Borgatti aveva in locazione il Caffè dei Negozianti e Giuseppe Castiglioni l’Antico Caffè del Commercio. Nella via Cortevecchia si trovavano, oltre a diverse locande, le osterie dei due Arabi, All’insegna del Cavalletto, San Marco e il Caffè degli Orefici con bigliardo; in via Garibaldi le osterie del Bersagliere, della Fortuna, delle Tre Rose, la bettola dell’Unione e caffè con “distesa” esterna, come quello, con otto sedie, di Maria Franceschini. Sotto i portici di San Romano erano i caffè Bezzecca, Romano, Aleotti e l’Osteria del milite in permesso, vicini al “salotto” di piazza, dove per lungo tempo trovarono posto il Caffè Milano e il Caffè Napoli (o del Napoletano) sotto il porticato del palazzo della Ragione, di proprietà della famiglia Giusti dal 1862 (chiusi nel 1933). Tra i palazzi Pepoli e Montecatini, nell’odierna via Contrari, c’era l’Osteria dell’Italia, mentre il caffettiere e pasticciere Luigi Marani aveva la bottega proprio sotto l’abitazione (n. 19) di Giacomo Succi, fucilato dagli austriaci il 16 marzo 1853 insieme a Luigi Parmeggiani, oste e albergatore nella già citata locanda dei Tre Mori di via Boccaleone. All’ombra del Castello, sul Canton della Campana (tra corso Giovecca e via Borgo dei Leoni) era, infine, il Botteghino inaugurato il giorno di San Giorgio del 1848, dove trovarono rifugio i carbonari fuggiti dal Polesine. L’ultimo gestore del locale – luogo di incontri anche politici e frequentato dall’onorevole Severino Sani – fu Aldo Gabbari, che lo trasformò in una curiosa fiaschetteria dove con bicchieri di vino si servivano fumanti piatti di tagliatelle, ma quando calava la notte una delle due cucine del retro si trasformava in bisca.

Tramite la bisca, il gioco aggancia la distrazione, l’evasione dal quotidiano. Tema magari un po’ difficile da affrontare, ma non può mancare un cenno alle “case di tolleranza”. In età napoleonica anche in Italia fu applicata la legislazione francese sulla prostituzione; più avanti nel tempo, accertati numerosi casi di malattie veneree tra i soldati sabaudi, negli anni 1859-60 Cavour incaricò un medico della redazione di un Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione, in vigore dal 1° aprile 1860 nelle province del Nord Italia annesse al Regno: uno strumento di controllo che prevedeva l’apertura di “postriboli di Stato” a seguito del rilascio di una licenza, la creazione di uffici sanitari, l’imposizione di tariffe e tasse statali. Seguirono altri regolamenti che divisero l’opinione pubblica, fino alla legge Crispi, approvata il 29 marzo 1888, con la quale, tra numerosi divieti, si proibiva anche l’apertura delle persiane (da qui, forse, l’appellativo di “case chiuse”). Non sappiamo se i ferraresi fossero schierati con gli “abolizionisti” o con i “rigoristi”, ma siamo a conoscenza di numerosi lupanari situati perlopiù negli stretti vicoli della città medievale, così come siamo informati che fino al 1865 le “donne infette” dal dilagante mal francese erano assistite dalle Congregazioni di Carità e delle dame di San Vincenzo presso Santa Maria della Consolazione, poiché non potevano essere curate nell’ospedale Sant’Anna per ragioni economiche e scarsità di posti letto. In città, méta di “incontri” anche per il circondario, la cronaca ricorda, tra gli altri, una «casa di bordello» in via del Gambero (ora Bersaglieri del Po) annessa a una «lurida taverna, frequentata da buontemponi e scioperati»; il «Postribolo vecchio» di vicolo della Lupa; una «casa antica di prostituzione» rivolta quasi esclusivamente alla «studentesca universitaria» nell’attuale via Romiti (già via del Bordelletto).

AG, 2011

 

Bibliografia

Gerolamo Melchiorri, Nomenclatura ed etimologia delle piazze e strade di Ferrara, Ferrara, Prem. Tipografia Ferrariola, 1918; Giorgio Zanardi, Circolo Unione 1803-2003, «Ferrara. Voci di una città», 19, 2003; Luigi Davide Mantovani, Valentino Sani, Il Circolo e la città. Il Circolo Unione di Ferrara dalla nascita all’Unità d’Italia, Ferrara, Este Edition, 2005; Lauretta Angelini, Enrica Guidi, Carlo Contini, La sifilide a Ferrara nell’800, «Le infezioni in medicina», 2, 2009, pp. 117-124; Giuseppe Inzerillo, Un Palazzo, un Circolo e una lunga storia ferrarese. Dai Magnanini ai Roverella, sino a Federico Zamorani e oltre, Ferrara, Liberty house, 2011; Graziano Gruppioni, Il bar che con il vino serviva le tagliatelle di notte diventava bisca, «Il Resto del Carlino», 26 febbraio 2012, p. 9; Angela Ghinato, La piazza viva, «Bollettino della “Ferrariæ Decus”», 27, 2011, pp. 33-64.

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