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Agrari

Federico Bernagozzi (1859-1916), Ritratto del conte Luigi Gulinelli Federico Bernagozzi (1859-1916), Ritratto del conte Luigi Gulinelli Collezione Gulinelli-Cottarelli, Firenze

In un contesto economico a vocazione prettamente agricola, gli agrari ferraresi rivestirono un ruolo fondamentale nell’ambito dei ceti dirigenti locali.

Durante la dominazione napoleonica, essi furono coinvolti in dinamiche piuttosto complesse per i cambiamenti avvenuti nella realtà sociale cittadina e nel territorio circostante. In questa fase venne infatti elaborata una legislazione profondamente innovatrice sulla sistemazione idraulica del territorio e furono posti i fondamenti dei consorzi dei proprietari, con la funzione di tutelare con efficacia le attività agricole. Con l’invasione francese e l’amministrazione della Repubblica Cisalpina, i danni legati alle vicende belliche (leve, confische, requisizioni) crearono forti squilibri nell’economia ferrarese, che si ripercuotevano soprattutto sulle classi lavoratrici. Si ebbero tuttavia anche effetti positivi sulle classi agricole imprenditoriali, per le esportazioni di prodotti locali (cereali e seta greggia) e l’apertura di un mercato più libero dalle restrizioni che avevano caratterizzato le epoche estense e pontificia. Gli esiti dei mutamenti sociali introdotti dall’abolizione dei diritti feudali della nobiltà e dalla confisca e vendita dei beni ecclesiastici avrebbero potuto essere notevoli. Invece il timore del nuovo e la mancanza di spirito progressista e imprenditoriale dei proprietari terrieri – deboli nella gestione e nella conduzione della proprietà e animati piuttosto dal desiderio di pronti guadagni e dal facile ricorso alla speculazione – ritardò gli effetti positivi potenzialmente insiti nelle riforme amministrative ed economiche dell’epoca.

Di fronte al generale prevalere della grande proprietà terriera nobiliare che caratterizzava il mondo delle campagne ferraresi, nei primi due decenni dell’Ottocento iniziava lentamente a cambiare il profilo sociale dei gruppi dirigenti, in seguito all’ascesa dei ceti borghesi che, più intraprendenti dei proprietari nobili, si assicurarono una porzione consistente del mercato fondiario. Nella prima metà del secolo, l’assetto tradizionale della conduzione delle terre da parte dei possidenti fu sollecitato da ingenti trasformazioni, grazie principalmente all’impegno dei nuovi proprietari borghesi. Da un lato il contratto di boaria stava prendendo il sopravvento su ogni altra forma di conduzione e garantiva ai proprietari un’ampia libertà di scelta nell’applicazione di nuove tecnologie; dall’altro pionieri quali Gaetano Recchi e Luigi Botter (fondatore della cattedra di Agraria nel 1841, poi Istituto agrario dal 1846) contribuirono all’introduzione di importanti miglioramenti agronomici, che permisero agli agrari più intraprendenti di intensificare fortemente la produzione delle loro terre e di aumentarne le rendite.

All’indomani dell’unificazione nazionale ebbe inizio una fase di larga partecipazione di capitali bancari e di altre iniziative che aprirono la strada alla trasformazione del mondo agricolo ferrarese. Le grandi opere di bonifica del territorio orientale della provincia, dal 1870 al 1885 sancirono una nuova fase storica, con notevoli modificazioni fondiarie e cambiamenti nei rapporti di proprietà. Spesso animati da intenti speculativi, illustri possidenti approfittarono del “terremoto” finanziario che scosse lo stagnante mercato dei terreni ferraresi per entrare nel circuito delle compravendite fondiarie: il conte Giacomo Gulinelli a Copparo; il marchese Rodolfo Varano, Stefano Graziadei e Giuseppe Pavanelli a Mezzogoro; Angelo Guidetti a Codigoro; il conte Giuseppe Giglioli a Cologna; il conte Luigi Saracco e l’avvocato Levi a Coccanile; l’avvocato Luigi Bottoni a Formignana. Con la vendita di gran parte delle loro proprietà terriere e vallive a società anonime italiane e straniere e a imprenditori provenienti da altre regioni, essi favorirono la penetrazione del capitalismo nelle campagne ferraresi e non contribuirono quindi, se non in maniera esigua, agli investimenti necessari per le imponenti opere di bonifica. Anche capitali stranieri riuscirono a supplire la assai limitata imprenditorialità locale: mentre la congregazione consorziale cercava invano di ottenere l’adesione e il contributo dei proprietari ferraresi, a Londra venne istituita nel 1872 la Ferrarese Land Reclamation Company Limited, con la partecipazione di un solo sottoscrittore italiano, il banchiere fiorentino Giuseppe Robbo.

La grande bonificazione tardo ottocentesca fu dunque un evento di straordinaria importanza per i risvolti sul territorio, sulla società e sull’economia della provincia e mise in luce aspetti rilevanti dell’assetto del capitalismo fondiario e della debolezza dell’imprenditoria agraria ferrarese. Essa segnò anche la polarizzazione all’interno del ceto economico dirigente tra i possidenti locali delle cosiddette “terre vecchie” – dove si consumava la crisi e la trasformazione in senso capitalistico del tradizionale rapporto di boaria – e le grosse aziende non ferraresi sulle “terre nuove”. In pochi decenni, secolari differenze nei rapporti di proprietà e nel paesaggio vennero fortemente attenuate dall’azione livellatrice del capitalismo agrario. Le condizioni economiche e sociali della popolazione agricola subirono una notevole omogeneizzazione, nel quadro di un generale inasprimento delle condizioni di lavoro e di una proletarizzazione delle classi lavoratrici. Se già in precedenza gli agrari, spesso assenteisti, governavano dalla città i loro fondi e non erano in grado di promuovere lo sviluppo sulle terre incolte, né di valorizzare i prodotti delle aree coltivabili, la prima statistica postunitaria, redatta dal prefetto Scelsi nel 1875, ne confermò l’atteggiamento: i possidenti ferraresi mancavano di fiducia nelle grandi imprese, di spirito associativo e di coraggio per rompere con abitudini antiche.

Negli anni Ottanta anche la provincia ferrarese fu attraversata dalla grave crisi agraria europea. Gli effetti della prolungata caduta dei prezzi (specialmente di mais, frumento e canapa) e dei redditi agricoli si ripercossero nei conflitti di interesse e di classe che andarono ad intensificare gli squilibri già esistenti nel settore agricolo e le distorsioni insite nel processo di sviluppo capitalistico della provincia. Per affrontare le difficoltà gli agrari locali seguirono tre strategie: la richiesta di interventi statali a sostegno dell’agricoltura (in questo ambito si inserirono i progetti di appoderamento e la legge Baccarini del 1882 sulle bonifiche); l’adesione al protezionismo doganale per le principali produzioni locali; la costituzione di organismi associativi tra gli agricoltori e lo sviluppo della cooperazione in campo economico e commerciale. L’associazionismo dei possidenti ferraresi si affermò nell’ultimo ventennio dell’Ottocento con la creazione dei consorzi agrari (riunitisi nel 1892 nella Federconsorzi). Derivava anche dalla necessità di costruire un’organizzazione adeguata per la difesa degli interessi padronali contro la massa dei lavoratori, ma manifestò ben presto limiti derivanti dalle divisioni e dalle contraddizioni interne sempre più forti. L’inasprirsi delle conflittualità tra il fronte dei lavoratori delle campagne e i ceti dirigenti (proprietari terrieri e grandi aziende capitalistiche delle “terre nuove”) culminò nella imponente ondata di scioperi che, dal 1897 al 1901, agitò le campagne ferraresi.

L’introduzione della barbabietola da zucchero, con le possibilità di sviluppare un tessuto industriale che potesse risolvere, almeno in parte, i gravi problemi sociali legati all’endemica disoccupazione della provincia, avrebbe offerto notevoli possibilità di guadagno per gli agrari se solo fosse esistita una forte interdipendenza settoriale garantita da una paritetica alleanza fra produttori e trasformatori. Venuta meno la possibilità di creare un’industria saccarifera in mano agli agricoltori locali, grandi società industriali esterne divennero proprietarie di vaste aree territoriali sulle quali impiantarono diversi stabilimenti industriali. Come era avvenuto in occasione delle grandi opere di bonifica, gli agrari ferraresi mostrarono dunque scarsa capacità imprenditoriale di fronte alle prospettive offerte dal nascente settore saccarifero. Tranne qualche isolato caso – il conte Gulinelli fece erigere a Pontelagoscuro uno zuccherificio per la lavorazione del prodotto delle sue terre – le iniziative industriali videro protagonisti investitori esterni.

Fallimentari furono anche i tentativi di creare un sindacato padronale unitario, per l’impossibilità di unificare i diversi settori della borghesia agraria in una struttura accentrata. Sorta nel 1901, la Consociazione agraria della provincia di Ferrara vide fallire, nel primo decennio del XX secolo, i propri progetti e si disarticolò per le spaccature interne e l’incapacità delle grandi aziende di bonifica di creare schemi organizzativi e ideologici comuni alle istanze degli agrari ferraresi, privilegiando una linea d’azione autonoma. Agli inizi del Novecento, i possidenti ferraresi dimostrarono un volto particolarmente reazionario nei confronti dei lavoratori, che continuarono a trattare come manodopera servile. Come testimoniano le parole del prefetto della città nel 1912, l’obiettivo politico del padronato della terra negli anni prebellici fu quello di diminuire il numero dei braccianti, che ritenevano eccedente rispetto ai bisogni reali dell’agricoltura, ma che al di là delle motivazioni tecniche tradiva in realtà il tentativo di garantire la “pace sociale”. Di fronte all’avanzata dei socialisti, gli agrari ferraresi persero progressivamente il controllo dei municipi e nelle campagne dovettero fronteggiare l’azione di un proletariato rurale sempre più combattivo e politicizzato.

RF, 2011

Bibliografia

Pietro Niccolini, L’agricoltura ferrarese. Cenni storici, Ferrara, Stabilimento tipografico ferrarese, 1939; Mario Zucchini, L’agricoltura ferrarese attraverso i secoli. Lineamenti storici, Roma, Giovanni Volpe Editore, 1967, pp. 233-324; Alessandro Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920), Firenze, La Nuova Italia, 1972; Paul R. Corner, Il fascismo a Ferrara 1915-1925, Roma-Bari, Laterza, 1974, pp. 3-31; Patrizia Fracchia, Gli agrari ferraresi: un’imprenditoria «mutilata», «Padania», I, Torino, Rosenberg & Sellier, 1987, pp. 111-122.

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