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Emigrazione

Ministero di agricoltura, industria e commercio - Direzione generale della statistica, Statistica della emigrazione italiana per l'estero negli anni 1902 e 1903 e notizie sull'emigrazione da alcuni altri stati, Roma, Bertero 1904 Ministero di agricoltura, industria e commercio - Direzione generale della statistica, Statistica della emigrazione italiana per l'estero negli anni 1902 e 1903 e notizie sull'emigrazione da alcuni altri stati, Roma, Bertero 1904 Biblioteca del Dipartimento di Scienze Statistiche "Paolo Fortunati", Università di Bologna

Nel corso dell’Ottocento preunitario il territorio ferrarese gravitò su diverse entità statali (Repubblica Cisalpina, Regno d’Italia, Stato della Chiesa), spesso in posizione di confine. Nell’età della Legazione, ad esempio, anche gli spostamenti nel Rodigino, nel Mantovano o nel Modenese rappresentavano migrazioni verso Stati esteri. Scarse sono le informazioni disponibili e non esistono studi in materia. La situazione cambiò con l’Unificazione e ancor più con il 1866, quando per l’annessione del Veneto Ferrara cessò di essere una città di confine, ma nonostante la maggiore disponibilità di dati statistici e di fonti archivistiche non esistono indagini storiche sull’emigrazione ferrarese dopo il 1861.

Sin dal primo censimento il nuovo Stato si interessò alle “migrazioni periodiche” nelle diverse province: nel 1861 i 97 emigranti ferraresi diretti all’estero (solo 6 le donne) partirono fra marzo e giugno (soprattutto a maggio) e rientrarono in due tornate, gran parte a giugno e poi altri a settembre. Non ne sappiamo di più e questi dati vanno presi con molta cautela, anche perché il Ferrarese era ancora terra di confine e in tutta probabilità erano spostamenti nel Lombardo-Veneto asburgico. Dieci anni dopo, il Censimento degli Italiani all’estero attestava la presenza di 398 ferraresi nel mondo: 250 in Europa, 111 in Africa, 33 in America, 3 in Asia e 1 in Oceania; 178 vivevano nell’Impero austro-ungarico, 108 in “Turchia” (vale a dire nell’Impero ottomano, evidentemente nella parte egiziana), 47 in territorio francese, 21 in Argentina e 18 in Svizzera.

I censimenti successivi continuarono a registrare la quota di espatriati temporanei e di stranieri domiciliati nel Ferrarese, ma dal 1876 la Direzione generale di statistica avviò una rilevazione continua delle uscite dal Regno, che rappresenta la principale serie di dati sul fenomeno. Fra 1876 e 1881 lasciarono il Ferrarese 194 persone, una quantità trascurabile. Tuttavia, nel corso degli anni Ottanta, in concomitanza con la crisi agraria, il numero degli emigranti aumentò sensibilmente anche nella provincia estense. Le partenze superarono la cifra di duemila nel 1888, per un’improvvisa serie di partenze da gran parte dei Comuni ferraresi. Tre anni dopo, una seconda ondata, concentrata soprattutto nel Comune di Ferrara (ma sensibile anche a Comacchio e Copparo) portò quasi quattromila ferraresi all’espatrio. Nel complesso, fra 1882 e 1891 lasciarono la provincia oltre settemila persone, per un tasso medio annuo vicino al 3‰ della popolazione. Più di un terzo delle partenze riguardò il Comune di Ferrara e un altro terzo abbondante la somma di quelli di Cento, Copparo e Comacchio. Quasi tutti si imbarcarono per le Americhe.

Il numero degli espatri aumentò ulteriormente nel decennio successivo (1892-1901), superando le undicimila uscite dal Regno (4,5‰ annuo). Non si registrarono i picchi del periodo precedente, ma un flusso costante, che in sei annate su dieci risultò superiore ai mille individui. Pur con una certa redistribuzione interna, a favore dei due Comuni più piccoli, le cifre dei partenti da Ferrara, Comacchio e Cento sfioravano ancora i due terzi del totale. Per effetto del calo delle destinazioni transatlantiche, fino a quel momento assolutamente prevalenti, nel 1900 e 1901 le partenze per paesi europei e mediterranei guadagnarono peso, attorno ai due quinti del totale.

L’emigrazione continuò a crescere nel corso dell’età giolittiana: il deflusso complessivo si attestò ad oltre sedicimila persone fra 1902 e 1911 (5,6‰ annuo), una congiuntura nella quale, a parte il biennio 1902-1903, la soglia degli espatri fu sempre al di sopra del migliaio. Una vera esplosione si ebbe nel triennio 1905-1907, durante il quale ottomila ferraresi lasciarono il Regno, specialmente da Ferrara, Copparo e Cento. Nel complesso, risultò stabile il deflusso da Cento, crollò l’emigrazione comacchiese, rimpiazzata da un boom di espatri copparesi, mentre continuava il calo della quota di Ferrara (poco più di un quinto). Si invertì anche la dinamica delle destinazioni: nel 1905 e 1907 i flussi euro-mediterranei sopravanzarono quelli transatlantici e dal 1908 la proporzione di imbarchi per le Americhe scese a una quota fra un terzo e un quinto del totale annuo. Negli anni precedenti l’ingresso italiano nella prima guerra mondiale l’emigrazione si mantenne al di sopra dei mille individui l’anno, per crollare con il 1915 e non ritrovare nemmeno nel dopoguerra i volumi precedenti.

Nel complesso, fra 1876 e 1914 più di quarantamila ferraresi lasciarono la provincia per cercare fortuna all’estero, ben venticinquemila dei quali diretti verso le Americhe: una parte di essi rientrò, ma la maggioranza rimase all’estero. Le statistiche ufficiali distinguono emigrazione “propria” e “temporanea”. Si tratta di un criterio discutibile, basato sulle intenzioni espresse prima della partenza e non a caso venne abbandonato dopo il 1903. Durante il ventennio precedente nel Ferrarese prevalse l’emigrazione “propria”, pari a quasi tre quarti del totale: ma la proporzione risultò ancora maggiore nel circondario di Comacchio, mentre in quello di Cento l’emigrazione “temporanea” sfiorava la metà del totale. Dal 1905, invece, si cercò di dar conto anche del rimpatrio degli emigranti, che per la provincia di Ferrara, fino al 1914, si attestò sul 10% dei partenti nello stesso periodo.

All’epoca era largamente condivisa l’idea che dal Ferrarese si emigrasse poco. L’assunto riverberava ancora nel Mulino del Po di Bacchelli: Orbino «pensò davvero all’America», ma «era un pensiero pressoché favoloso [...]: in altre parti d’Italia non sarebbe stato così; ma lì pochi emigravano; l’idea era strana, i mezzi per eseguirla difficili e ignoti». Il giudizio è stato assunto anche degli storici, che non han ritenuto degno di interesse il fenomeno migratorio. Dal punto di vista comparativo, di fronte all’esodo dal Mantovano o dal Rodigino, per menzionare giusto due aree adiacenti, ma anche rispetto ai flussi in uscita dal resto dell’Emilia-Romagna, l’impressione è senz’altro esatta. Tuttavia quarantamila espatri restano un’emigrazione di massa da spiegare, così come restano da capire le ragioni della relativamente scarsa propensione migratoria dei ferraresi. Fra le ragioni dell’espatrio, oltre alla crisi agraria, pesò forse il mancato sviluppo di attività artigianali-industriali in grado di assorbire la manodopera in eccesso: sembra allora che i centri urbani abbiano svolto una funzione di attrazione degli espulsi dall’economia rurale e di instradamento sui percorsi migratori esterni. Quanto alle proporzioni ridotte, contarono senz’altro i rapporti sociali nelle campagne. La minor diffusione di patti colonici (la boaria di fatto è un salario famigliare) e della piccola proprietà privava i candidati all’espatrio del capitale minimo per partire e forse anche delle motivazioni, che erano legate spesso al crollo di un mondo a causa dell’indebitamento o della crisi agraria. Non a caso dal Centese, dove le figure rurali intermedie erano più presenti, si emigrava in proporzioni maggiori. Inoltre l’abitudine ai rapporti di salario e la grande richiesta di manodopera nei mesi estivi può aver favorito altri modelli di mobilità, l’emigrazione temporanea a medio raggio o quella a breve nei Comuni circostanti. Infine, per concludere, va menzionata la celebre tesi di John MacDonald: nella pianura padana ottocentesca, data la polarizzazione sociale dovuta alla penetrazione capitalistica nelle campagne e dato il blocco della mobilità sociale, la risposta più diffusa all’impoverimento e la via più efficace per la redistribuzione del reddito sarebbe stata l’organizzazione di classe, mentre altrove avrebbero invece prevalso le alternative dell’accettazione della situazione data o dell’emigrazione.

MN, 2011

Bibliografia

Dina Albani, Lineamenti dell’emigrazione in Emilia, «Rivista economica» (CCIAA di Bologna), 5, 1949, pp. 29-32; John S. MacDonald, Agricultural Organization, Migration and Labour Militancy in Rural Italy, «Economic history review», 1, 1963, pp. 61-75; Teresa Isenburg, Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle bonifiche ferraresi (1872-1901), Firenze, La Nuova Italia 1971; Matteo Sanfilippo, Emigrazioni emiliane nell’Otto-Novecento, «Giornale di storia contemporanea», 2, 2004, pp. 252-259; Marco Fincardi, Il lavoro mobile in Emilia e Romagna [2006], in Id., Campagne emiliane in transizione, Bologna, Clueb 2008, pp. 171-187.

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