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Sindacalisti rivoluzionari

Portomaggiore, 1907. Evacuazione di una stalla durante uno sciopero. (da Storia illustrata di Ferrara, a cura di Francesca Bocchi, Milano, 1989, III, p. 869) Portomaggiore, 1907. Evacuazione di una stalla durante uno sciopero. (da Storia illustrata di Ferrara, a cura di Francesca Bocchi, Milano, 1989, III, p. 869)

Il “sindacalismo rivoluzionario” è stata una corrente del movimento operaio diffusa in tutti i paesi industriali, che trovò radicamento nei settori dequalificati e precarizzati della forza-lavoro, negli intellettuali e negli organizzatori delusi dalle incertezze socialiste. A partire da una revisione del marxismo, in senso antiriformista e antiparlamentare, assunse la centralità del conflitto di classe, propugnando la priorità (o quanto meno l’autonomia) del sindacato sul partito e le virtù dell’azione diretta rivoluzionaria, trovando un simbolo nello sciopero generale. In Italia fu dapprima corrente socialista, poi fra 1906 e 1908 si separò dalle organizzazioni esistenti, ma solo nel 1912 diede vita all’Unione sindacale italiana. L’esperienza ferrarese fu centrale nella prima fase di passaggio, quando i sindacalisti si posero alla testa di molte lotte bracciantili nella pianura padana e in Puglia. Dopo le sconfitte nelle vertenze del 1904 e sull’onda dell’affermazione “rivoluzionaria” al congresso socialista, una dirigenza “sindacalista”, forte di apporti esterni (Bianchi, i Pasella, Mazzoldi, Monicelli, Niccolai) e di organizzatori locali (Bardasi, Rossoni, Ricci, Trevisani, Preti) si affermò in seno al PSI e alla Camera del lavoro ferraresi. Fra scissioni e ricomposizioni con l’ala riformista, i sindacalisti, particolarmente radicati nel Copparese e nell’Argentano, guidarono gli scioperi del 1906-7, 1911 e 1913: se inizialmente seppero aggirare intelligentemente i tentativi di divisione impliciti nella compartecipazione, riportandola nel quadro della gestione sindacale del mercato del lavoro, in seguito la linea di proletarizzazione generale delle campagne alienò alle leghe le simpatie di boari, mezzadri e affittuari, anche se i quadri sindacalisti restarono punti di riferimento per i braccianti – e talvolta furono anche i loro amministratori, come nei Comuni di Argenta e Massafiscaglia, e deputati, con Guido Marangoni. Protagonisti di una campagna antimilitarista, ma divisi internamente su questioni politico-elettoriali, i sindacalisti diressero infine nel 1913 lo sciopero a oltranza di Massafiscaglia che sancì la fine della loro influenza locale, tanto che l’USI raccolse nel Ferrarese solo una minoranza di lavoratori e la breve parabola sindacal-rivoluzionaria volse al termine. La valutazione storiografica ha pagato un pesante pegno ai gusti politici degli studiosi, ora denunciandone l’estremismo velleitario, ora esaltandone il radicalismo. L’estraneità degli intellettuali sindacalisti alla base rurale fu compensata da una leva di tenaci organizzatori locali, che seppero comprendere e tradurre situazioni molto polarizzate socialmente: il destino interventista e fascista di molti dei primi non deve far dimenticare i diversi percorsi dei secondi.

La redazione, 2012

 

Bibliografia

Alessandro Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920), Firenze, La Nuova Italia, 1972; Id., Il sindacalismo rivoluzionario, in Storia illustrata di Ferrara, a cura di Francesca Bocchi, Milano, AIEP, 1987-1989, vol. 3, pp. 865-881; Carl Levy, Currents of Italian Syndicalism before 1926, «International review of social history», 1, 2000, pp. 209-250.

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