Canapa

Bottega del Guercino, Estrazione della canapa dal macero, 1615-17; affresco trasportato su tela, cm 72 x 108. Cento, Pinacoteca Civica. Il dipinto, già in casa Pannini, fu trasportato su tela nel 1840 dal celebre restauratore Giovanni Rizzoli di Pieve di Cento Bottega del Guercino, Estrazione della canapa dal macero, 1615-17; affresco trasportato su tela, cm 72 x 108. Cento, Pinacoteca Civica. Il dipinto, già in casa Pannini, fu trasportato su tela nel 1840 dal celebre restauratore Giovanni Rizzoli di Pieve di Cento

Nell’Ottocento e fino alla metà del Novecento le campagne del Ferrarese centrale e occidentale si presentavano nei mesi dell’estate come una ordinata foresta fatta di filari di olmi, a cui stavano addossate e intrecciate viti. Tra filare e filare, oltre ai prodotti centrali del ciclo agricolo come i cereali (frumento e mais) grandi macchie di verde cupo si alzavano fino a oltre tre metri a chiudere l’orizzonte dei campi, specialmente nelle terre migliori (le “terre vecchie”): erano i campi che ospitavano la canapa.

La canapa (cannabis sativa) è una pianta erbacea annua da cui si ottiene una robusta fibra tessile, un tempo utilizzata per cordami, spaghi, vele, reti da pesca. Dopo una faticosa e accurata lavorazione le lunghe fibre di canapa, arrotolate in grandi matasse erano destinate al mercato nazionale e internazionale. Ai grandi mercati andavano le fibre più lunghe e lucenti, molto apprezzate per la qualità rispetto alle canape a fibra corta provenienti dalla Russia e dalla Spagna e anche rispetto a quelle della varietà di canapa molto alta (canapa cinese) coltivata nel Napoletano. Il sottoprodotto che restava dopo l’estrazione del tiglio e l’accurata selezione mediante “pettinatura” delle fibre migliori era utilizzabile per ottenere anche tele e tessuti più o meno grossolani, frutto per lo più della filatura e tessitura domestica eseguita dalle donne contadine.

Bisogna ricordare che una sottospecie della cannabis sativa è la cannabis indica, cioè la canapa indiana molto più ricca di sostanze stupefacenti. La difficoltà a riconoscere le due sottospecie della stessa pianta rende oggi problematico un ritorno sui nostri campi di questa coltivazione.

In Italia il cuore della produzione specializzata della canapa era localizzato nelle province emiliano-romagnole orientali, Bologna e Ferrara in primo luogo. Anche il Veneto (soprattutto Padova e Rovigo) aveva avuto in passato una importante produzione di fibra, destinata all’Arsenale di Venezia. La diffusione della coltura è accertata in età medievale sulle vallate del Frignano ma già nel 1400 essa va ad occupare le più favorevoli terre di pianura del Bolognese (San Giovanni in Persiceto e Cento). Dal Centese, dopo che nel 1502 il suo territorio era entrato a far parte del Ducato di Ferrara, la coltivazione della canapa iniziò la sua marcia verso il Ferrarese centrale, dove affiancava nel corso del Seicento la più tradizionale coltura del lino (Linum Usitatissimum), coltivato nel Ferrarese come materia tessile per gli abiti estivi del contadino e per utilizzazioni più raffinate. Un celebre dipinto del Guercino descrive con grande efficacia il faticoso lavoro della canapa nella fase centrale del processo produttivo: l’estrazione dei fasci di piante dal maceratoio e la loro collocazione in pile coniche ad asciugare. Nel 1741 il letterato centese Ambrogio Baruffaldi dedicava proprio alla canapa un poemetto, da lui annotato con numerose informazioni sulla coltivazione della preziosa pianta tessile.

Nel corso del secolo XIX il primato produttivo della canapicoltura passò dalla provincia di Bologna a quella di Ferrara. Legata alla consistente esportazione di canapa verso l’Inghilterra è la residenza in Ferrara, nella prima metà dell’Ottocento, del viceconsole inglese William Donald McAlister (1798-1880), una delle figure interessanti del Risorgimento, noto per aver salvato nel 1849 la città dal bombardamento austriaco.

A fine Ottocento, mentre il paese stava uscendo dalla lunga crisi dei prezzi agricoli e cerealicoli (1881-96), l’esportazione di canapa offriva un importante sostegno all’economia provinciale, come attestava in due articoli pubblicati sulla rivista «l’Italia Agricola» il direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura di Ferrara Adriano Aducco. A scala nazionale la coltura della canapa era concentrata in Emilia-Romagna, che con 390.000 quintali realizzava il 53,5% della produzione. L’altro grande polo produttivo si trovava in Campania, dove le province di Napoli e Caserta fornivano, con 163.000 quintali, quasi un quarto della fibra di canapa italiana. Seguivano con apporti minori il Veneto e il Piemonte. La provincia di Ferrara, con ben 190.000 quintali produceva da sola oltre un quarto (26,5%) della produzione nazionale, superando ormai largamente quella di Bologna (130.000 quintali pari al 17,8%). Al terzo posto si collocava Caserta, con 105.000 quintali (14,5 per cento). Nel corso dell’Ottocento solamente l’Impero russo, che produceva 2,1 milioni di quintali su una superficie di 632.000 ettari, superava la produzione italiana, che Aducco stimava aggirarsi tra il 16 e il 18 per cento della produzione mondiale.

Per dare un’idea di quanto la canapa fosse ormai coltura di primaria importanza nell’economia delle famiglie di mezzadri, boari e braccianti ferraresi, basterà ricordare che sul finire del secolo XIX dei 4.218 telai domestici censiti nella provincia, ben 3.075 erano destinati alla tessitura di lino e canapa. Ma la fatica maggiore del lavoro contadino era riservata alla coltivazione e alla lavorazione sul podere per ottenere la canapa grezza, il cui prezzo finale era strettamente legato alla qualità, lunghezza e resistenza della fibra. Queste caratteristiche si ottenevano grazie ad abbondantissime concimazioni; a lavorazioni profonde e all’aerazione del suolo in profondità con vangatura supplementare del solco tracciato dall’aratro (ravagliatura); a diserbi, diradamenti e sarchiature dopo la nascita delle piantine; alla macerazione ottimale degli steli nei maceratoi (màsar), grandi vasche in cui gli steli della pianta uniti in fasci venivano affondati con grossi ciottoli di fiume per ottenere il distacco del tiglio. Quest’ultima importante fase della lavorazione avveniva però dopo altre faticose operazioni che consistevano nel taglio delle bacchette alla base nei primi giorni di agosto; la loro esposizione al sole prima disponendoli sul suolo a spina di pesce, poi raggruppandoli in mazzi sovrapposti e incrociati a X (messa in cagna) ed infine rialzandoli da terra in grandi pile coniche (pirle) per essiccare il fogliame. Seguiva sul campo la ripetuta sbattitura degli steli per ottenere la rimozione della parte fogliare ormai secca; la creazione di fasci formati da 20 mannelle ciascuno di lunghezza uniforme con selezione degli steli in base alla loro lunghezza (tiratura); la legatura in fasci degli steli; il trasporto e l’affondamento dei fasci nel maceratoio. Dopo alcuni giorni avveniva l’estrazione dei fasci dall’acqua ormai putrida, l’apertura delle mannelle e la loro faticosissima lavatura, nelle prime ore del mattino, per eliminare la parte verde superficiale. Da una buona lavatura dipendeva spesso la qualità mercantile delle fibre. «Chi non lava bene la canapa – scriveva l’agronomo Giuseppe Ragazzi – ottiene tiglio bigio (argentino) e sporco, e che per di più, durante la successiva lavorazione, spande abbondante e molesto polverìo». Di nuovo la canapa lavata veniva posta ad essiccare in pile coniche legate in cima. Riunita ancora in mannelle si accatastava in cumuli (tasselli) ricoperti e protetti dalla pioggia con altre mannelle che formavano una specie di tetto.

Seguivano poi, dopo il trasporto sull’aia delle mannelle, le faticose operazioni per l’estrazione della fibra. Qui avveniva di solito la frantumazione a mano con bastoni e gramole delle bacchette (scavezzatura e gramolatura) per provocare la separazione del tiglio dalla parte legnosa (sticc, canapuli), questi ultimi destinati a importante combustibile domestico. Il ciclo agricolo della canapa si completava con la riunione delle mannelle gramolate in coppioni o manoni (ammanamento), con la loro esposizione alla rugiada del mattino e la legatura dei capi. Con essi si procedeva alla formazione di mazzole composte da 20 manoni (cioè 200 mannelle) legate tra loro e disposte in magazzino in forma di grossi cubi.

I commercianti di canapa, mediatori e mercantini, acquisito il prodotto, organizzavano le successive fasi che si possono definire come il ciclo industriale della canapa. Esso consisteva nella pettinatura con graffi metallici e nella perfetta ripulitura della fibra da residue parti legnose, operazione svolta da artigiani specializzati (canepini, gargiolari). Durante questa fase avveniva anche la selezione delle fibre per qualità: le più fini e incolori erano destinate alla filatura, mentre quelle più grossolane ed opache andavano alle produzione di cordami. Allo scopo si formavano delle matasse distintamente per qualità, pronte per la vendita e per il trasporto ad opera dei commercianti che piazzavano la fibra sui mercati.

La canapa e le sue faticosissime lavorazioni hanno segnato in profondità la memoria storica dei contadini, dei braccianti e degli agricoltori ferraresi. La coltivazione di questa fibra tessile con contratti di compartecipazione del lavoratore al risultato è stato lo strumento con cui il mercato e le sue leggi sono penetrate nelle campagne fin dal secolo XVII coinvolgendo uomini, donne e ragazzi nel suo lungo e complesso ciclo produttivo. L’Ottocento ha visto la provincia di Ferrara al primo posto offrendo ai suoi agricoltori una fonte di redditi monetari di primaria importanza. Sul duro lavoro della canapa si è formata anche nei lavoratori agricoli una prima coscienza dei propri diritti. Le grandi lotte agrarie del 1897 e degli anni 1901-1903 portarono il Ferrarese all’attenzione del Parlamento nazionale ma anche ai primi contratti collettivi di lavoro scritti che stabilivano la remunerazione del faticosissimo lavoro dei coloni, boari, castaldi e braccianti ferraresi per una coltura che rimarrà dominante nelle campagne ferraresi fino alla seconda guerra mondiale.

FC, 2011

Bibliografia

Adriano Aducco, Produzione e commercio della canapa, 1, «L’Italia Agricola - Giornale di Agricoltura», XXXIII, n. 23, 15 dicembre 1896, pp. 541-544; Id., Produzione e commercio della canapa - 2, ivi, XXXIII, n. 24, 30 dicembre 1896, pp. 560-563; Una fibra versatile. La canapa in Italia dal Medioevo al Novecento, a cura di Carlo Poni, Silvio Fronzoni, Bologna, Clueb, 2005; Tra campagna e industria: attività tessili nel Centopievese, a cura di Carla Bagni, Cento, Società editrice Baraldi, 1988; Renato Sitti, Roberto Roda, Carla Ticchioni, Il lavoro della canapa nel ferrarese, Ferrara, Arstudio C, 1982.

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