1897

"Gazzetta ferrarese", 3 luglio 1897 "Gazzetta ferrarese", 3 luglio 1897 Biblioteca Comunale Ariostea

Il 1897 segna uno spartiacque nella storia del Ferrarese. Rivolte rurali e scioperi non erano mancati negli anni precedenti, ma le dimensioni e la portata dei conflitti che agitarono le campagne nella tumultuosa estate di quell’anno sancirono una svolta epocale.

In tutta Italia il 1897 vide un picco della conflittualità nel mondo del lavoro: furono 24.000 gli scioperanti, poco meno della metà dei quali nelle campagne. Le tensioni rurali si concentrarono nella pianura padana, che fu teatro di un grande sciopero bracciantile, culminato nella storica affermazione di Molinella. Arresti e intimidazioni, con l’intervento di diecimila soldati, non furono sufficienti a piegare i braccianti della bassa bolognese, che dopo quaranta giorni di sciopero ottennero significative conquiste (contrattazione collettiva, riduzione dell’orario, aumenti salariali). Negli stessi mesi un secondo epicentro degli scioperi rurali si ebbe nelle campagne ferraresi, attraversate da uno scontro frontale. Una congiuntura precedente di cattivi raccolti, che avrebbe anche determinato un’impennata dei casi di pellagra, predispose il terreno all’esplosione del conflitto.

A metà giugno scesero per prime in sciopero le mondine delle risaie dell’Argentano. Un ruolo importante si dovette probabilmente alle informazioni che giungevano dalla vicina Molinella, anche per via della fitta circolazione di lavoratori migranti. Nonostante gli arresti di pretesi “agitatori”, lo sciopero continuò, con ripetute manifestazioni. Le mondariso furono presto seguite dai braccianti avventizi impegnati nell’avvio della mietitura del grano, che contestavano l’impiego di lavoratori esterni al Comune a minor salario, proprio quando la previsione di un raccolto meno abbondante suscitava invece richieste di aumenti. Mentre ad Argenta si raggiungeva un accordo, la vicina Portomaggiore era attraversata da una sorta di piccolo sciopero generale, guidato dai mietitori, ai quali si unirono, con rivendicazioni specifiche, biroccianti, carrettieri e operai lanieri e poi anche salariati fissi e coloni, che fecero causa comune con i braccianti, invocando la riforma di patti agrari che scaricavano sulla famiglia boarile il costo degli avventizi. Laboriose trattative condussero a un primo accordo (il “patto di Portomaggiore”) che prevedeva migliorie salariali per la mietitura (da 4 a 5 lire) e la trebbiatura (quota all’11-12%), per il taglio delle stoppie e per la battitura del grano (al 4%): una commissione avrebbe dovuto rispondere alle molte altre questioni poste dagli scioperanti e procedere alla revisione dei patti colonici.

Anche se era diffusa l’idea della responsabilità di “sobillatori” esterni al mondo contadino, non esisteva di fatto un’organizzazione sindacale rurale e lo stesso Partito socialista non era radicato nelle campagne, per quanto avesse fatto giungere la propria propaganda nei borghi. Almeno una parte dei lavoratori in sciopero, tuttavia, aveva chiari riferimenti di classe, come rivela un episodio cruciale. A fine giugno, dovendosi recare a Molinella, Andrea Costa era sceso alla stazione ferroviaria di Argenta, ove era stato accolto da una folla enorme (fra le due e le quattromila persone, a seconda delle versioni). Ne era sorto un comizio e un corteo che, dietro la banda del paese, aveva accompagnato a piedi, per oltre quindici chilometri, il deputato socialista fino a Molinella, scatenando rinnovati entusiasmi nei paesi attraversati.

Sull’onda dei risultati raggiunti nell’Argentano e nel Portuense, ai primi di luglio lo sciopero si era già esteso a tutta la parte meridionale del Comune di Ferrara. I disordini di Marrara suscitarono un serio allarme nelle classi dirigenti locali, un’interpellanza parlamentare, il colloquio di una delegazione di proprietari con il presidente del Consiglio Di Rudinì e ulteriori richieste di rinforzi militari. Mentre cominciava la trebbiatura del grano, nel giro di poche settimane, con una dinamica classica di propagazione di notizie fra Comuni adiacenti, l’agitazione si era diffusa anche alle “terre nuove” di recente bonifica (nei Comuni di Migliarino, Ostellato, Massafiscaglia e Codigoro), finendo così per coinvolgere buona parte della provincia nella richiesta di applicazione del “patto di Portomaggiore”. Attorno alla metà di luglio entrarono in sciopero anche i manovali impegnati nei lavori sul tratto bondenese del Po di Volano e qualche tensione lambì le terre della mezzadria nell’Alto Ferrarese (specie a San Carlo).

L’allargamento geografico era stato accompagnato dal consolidamento del fronte comune fra le figure sociali in lotta: come a Portomaggiore ed Argenta, ai braccianti “avventizi” (cioè “precari” o “stagionali”) impegnati nella mietitura e trebbiatura del grano si erano uniti, con specifiche rivendicazioni, i braccianti “obbligati” (salariati “fissi” con contratti annuali) e i boari. La dinamica del conflitto era quasi sempre la medesima: astensione dal lavoro, corteo verso il centro del paese ed esposizione delle rivendicazioni, affidate ove possibile a specifici mediatori. Anche nelle situazioni più difficili gli agrari furono alla fine costretti a trattare, ma non mancarono, con la generalizzazione delle vertenze oltre le zone d’origine e la crescente repressione e militarizzazione del territorio, inasprimenti del conflitto. Episodi eclatanti si ebbero nel Comune di Ferrara, a Monestirolo, con scontri fra scioperanti e militari (un ferito per parte) e a Marrara, ove l’intero paese insorse contro il tentativo di far uso di crumiri protetti dalle forze dell’ordine. A Codigoro la cavalleria disperse gli scioperanti, che si difesero a sassate, mentre a Massafiscaglia duemila braccianti in sciopero invasero la sede municipale e costrinsero i proprietari a cedere alle richieste. Nelle tenute della SBTF si giunse all’uso delle armi: ad Ariano alcuni coloni uccisero a colpi di fucile un guardiano che voleva impedire il passaggio degli scioperanti, mentre a Tresigallo, un guardiano, offeso da alcuni scioperanti, uccise con un colpo di fucile uno di essi. Nonostante questi episodi, la stessa Sbtf dovette cedere a un capitolato d’intesa unitario per tutte le sue tenute. Steso dal direttore Lattuga, era molto meno favorevole ai lavoratori rispetto ai patti delle “terre vecchie”: compiti e responsabilità erano definiti minuziosamente e con durezza. La figura del boaro veniva definitivamente proletarizzata e resa disponibile anche per lavori di trasporto e persino edilizi, mentre la tradizionale libera fruizione di orto, pollaio e porcile veniva sottoposta a indennizzi o ristretta e il mancato rispetto di norme e divieti (fra i quali quello di spigolatura) esponeva all’immediato licenziamento, così come l’ubriachezza, la generica disobbedienza ai fattori della società e lo sciopero. I castaldi restavano “obbligati” solo nominalmente, perché dovevano essere a disposizione per qualsiasi lavoro, ma la Società si riservava di non utilizzarli e, quel che più contava, di non retribuirli, nonostante pagassero l’affitto per il loro domicilio presso l’azienda e coltivassero fondi aziendali.

I patti rapidamente ottenuti nelle singole località, spesso modellati su quelli di Portomaggiore, non vennero sempre rispettati, l’esercito presidiò costantemente le campagne e contro i lavoratori in lotta si scatenò la repressione delle autorità. In alcuni casi corrispondenti della stampa nazionale vennero allontanati, mentre decreti prefettizi impedirono le pubbliche riunioni, stabilirono la chiusura anticipata degli esercizi e portarono all’espulsione di tutti i lavoratori non ferraresi. Alle circa 300 denunce, per oltraggi ai proprietari o alle stesse forze dell’ordine, per resistenza alla forza pubblica e per il reato, previsto nei codici ottocenteschi, di “eccitamento all’odio di classe”, seguirono processi per direttissima che portarono alla condanna di 180 persone, con pene variabili da poco più di una settimana a 16 mesi di reclusione. Tuttavia gli scioperi costrinsero i proprietari riuniti in assemblea a nominare una commissione per la “revisione dei patti colonici” a livello provinciale. Nel marzo del 1898 la commissione avrebbe presentato una prima proposta, redatta dall’ing. Eugenio Righini (presidente della Società operaia di Ferrara) e articolato per le diverse categorie.

Il significato storico degli scioperi del 1897 non risiede solo nell’inedito carattere di massa e nella più vasta estensione geografica del conflitto mai raggiunta, fino ad allora, nelle campagne ferraresi. La convergenza fra braccianti avventizi, “obbligati” e boari saldò un vasto fronte anti-padronale che sancì il superamento del paternalismo e della sottomissione. Sulla spinta dell’immiserimento e dell’indebitamento anche le figure più tutelate, se non altro da accordi annuali, si erano scoperte fragili e più vicine di quanto non avessero creduto ai “proletari” dei campi. L’unità dei lavoratori delle campagne e la solidarietà raccolta nei paesi (perfino nel basso clero che simpatizzò apertamente per gli scioperanti), costrinse i proprietari a concedere miglioramenti sostanziali e a superare la tradizione dei patti orali e di consuetudini talvolta anche secolari. Il patto scritto conquistato dai boari su scala provinciale segnò l’ingresso nell’età dei diritti e delle regole. Con la fine dell’egemonia paternalistico-borghese sul proletariato rurale, entrò per la prima volta in crisi la centralità politica del capoluogo. Si apriva, anche per via degli avvenimenti nazionali, una fase convulsa, dalla quale sarebbero emerse, con gli scioperi del 1901, le nuove strutture organizzative della lotta di classe, le “leghe” e le camere del lavoro.

MN, 2011

Bibliografia

Pietro Sitta, Gli scioperi agrari nel Ferrarese, «La riforma sociale», f. 8, 1897, pp. 740-761; Statistica degli scioperi avvenuti nell’industria e nell’agricoltura durante l’anno 1897, Roma, Maic-Direzione generale della Statistica, 1899; Teresa Isenburg, Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle bonifiche ferraresi (1872-1901), Firenze, La Nuova Italia, 1971; Alessandro Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920), Firenze, La Nuova Italia, 1972; Prima dell’organizzazione: gli scioperi del 1897 nel Ferrarese, a cura di Lucio Scardino, Ferrara, Il globo 1999.

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